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Quando si tratta di ferie, molti lavoratori italiani credono di avere la libertà di scegliere autonomamente la metà dei giorni di riposo annuali, lasciando la decisione sull’altra metà al proprio datore di lavoro. Questo presunto “accordo 50-50” circola da anni, alimentato da dicerie e informazioni errate che si sono diffuse sul web e tra i dipendenti. Ma è davvero così che funziona? La risposta è no. A chiarire una volta per tutte questo dubbio è stato Riccardo Onano, esperto di diritto del lavoro molto attivo su Instagram, che ha dedicato uno dei suoi video a questo argomento.
Secondo Onano, l’idea che le ferie annuali si dividano equamente tra decisioni del dipendente e del datore di lavoro è semplicemente un falso mito. “Non è vero che due settimane le scegliete voi e le altre due il capo”, afferma con decisione. Questo equivoco è talmente diffuso che molte persone restano sorprese quando scoprono che, nella realtà, le regole sono ben diverse.
Chi ha un contratto a tempo indeterminato in Italia ha diritto per legge a quattro settimane di ferie l’anno. Tuttavia, la gestione e la pianificazione di queste ferie devono essere sempre concordate con il datore di lavoro. Onano spiega che non esiste alcuna norma che garantisca automaticamente al dipendente la possibilità di decidere in autonomia la metà delle sue ferie. Al contrario, l’accordo deve essere reciproco. Se le due parti non trovano un’intesa, la decisione finale spetta all’azienda.
Cosa succede se non si raggiunge un accordo?
Nel caso in cui un dipendente e il suo superiore non riescano a concordare le date delle ferie, la legge tutela le esigenze aziendali. Questo significa che, se c’è disaccordo, prevale la necessità dell’azienda di organizzare il lavoro in modo efficiente. “Se ci sono delle esigenze aziendali, dovete accettare,” sottolinea Onano. L’esperto porta un esempio concreto: "Mettiamo l’esempio che l’azienda resti chiusa per tutto il mese di agosto. Se il capo vi impone di prendere le quattro settimane di ferie in quel periodo, siete obbligati ad accettare."
Questa pratica, nota come chiusura collettiva, è comune in molti settori, specialmente in quelli dove la produzione o i servizi si fermano durante l’estate o in occasione delle festività. In questi casi, il dipendente non può opporsi e deve utilizzare le ferie durante i periodi stabiliti dall’azienda.
Ferie nel pubblico e nel privato: ci sono differenze?
Molti si chiedono se le regole siano diverse tra settore pubblico e privato. Anche su questo punto Onano è chiaro: la normativa è la stessa per entrambi i settori. Tuttavia, nella pratica, ci sono differenze legate all’approccio dei superiori. “Nel pubblico, di solito, i capiufficio sono molto più accondiscendenti,” spiega Onano nei commenti al video. Al contrario, “spesso i dirigenti delle aziende private, soprattutto quelle di piccole dimensioni, tendono a dire più facilmente di no alle richieste dei dipendenti”.

Questa differenza di atteggiamento si spiega con le diverse dinamiche lavorative tra i due settori. Le pubbliche amministrazioni, infatti, hanno spesso una pianificazione più strutturata e regolamentata, mentre nel privato i datori di lavoro devono bilanciare le esigenze operative con quelle dei dipendenti, il che può portare a un maggiore rigore nella concessione delle ferie.
Cosa dice la legge italiana sulle ferie?
La normativa italiana sulle ferie è stabilita dall’articolo 2109 del Codice Civile e dal Decreto Legislativo 66/2003. In base alla legge:
- Ogni lavoratore ha diritto ad almeno quattro settimane di ferie all’anno.
- Le ferie devono essere concordate con il datore di lavoro, tenendo conto sia delle esigenze dell’impresa che degli interessi del lavoratore.
- Almeno due settimane di ferie devono essere fruite entro l’anno di maturazione, mentre le restanti possono essere utilizzate nei 18 mesi successivi.
>Inoltre, è importante ricordare che le ferie non possono essere monetizzate (ossia pagate in busta paga) se non in caso di cessazione del rapporto di lavoro.
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