Prova a vivere per un mese senza usare plastica: com'è andata a finire

Moltissimi di noi hanno pensato, andando a gettare i propri rifiuti di plastica, di usarne veramente troppa. Per questo, alcuni provano a ridurla, preferendo alternative più ecologiche. Ma è possibile vivere senza usare plastica di alcun tipo? Una giornalista ci ha provato, dandosi come tempo trenta giorni. Non è andata bene, come prevedibile.

La contaminazione da plastica è un problema globale in continua crescita. Secondo la Fondazione delle Nazioni Unite, gli oceani contengono già abbastanza plastica da riempire cinque milioni di container marittimi. Se la produzione dovesse proseguire ai ritmi attuali, nel 2050 ci sarà più plastica che pesci nei mari. Ma cosa può fare il singolo individuo per contrastare un problema di tale portata? È la domanda che si è posta Emma Beddington, giornalista del The Guardian, che ha deciso di mettersi alla prova: vivere un mese senza plastica. Il risultato? Un’esperienza fatta di ostacoli, frustrazioni e preziose lezioni di vita.

I primi ostacoli: il supermercato e la plastica ovunque

Beddington ha iniziato l’esperimento con ottimismo. Aveva già adottato alcune abitudini sostenibili: faceva acquisti in negozi di ricarica per i prodotti di pulizia, comprava pane e latte al mercato locale e riutilizzava contenitori fino a quando non si rompevano. Tuttavia, osservando la sua casa con un occhio più critico, ha scoperto quanto la plastica fosse onnipresente: dal bagno alla scrivania, fino al frigorifero, "pieno di bustine e barattoli con coperchi di plastica", ha ammesso.

L’esperienza al supermercato si è rivelata particolarmente frustrante. Solo pochi ortaggi – cipolle, aglio, porri e cavoli – erano disponibili senza imballaggi. Secondo Alison Colclough di Everyday Plastic, questa situazione è in linea con i dati del Big Plastic Count 2024: circa il 70% dei cibi e delle bevande nel Regno Unito è avvolto in plastica, e oltre la metà di questi imballaggi è considerata superflua.

Per aggirare il problema, la giornalista ha iniziato a fare spesa nei mercati locali, dove ha trovato una selezione più ampia di prodotti sfusi. La sua dieta si è però modificata drasticamente: a colazione avena con frutta secca, a pranzo hummus fatto in casa o zuppa in lattina con pane tostato, e a cena patate, legumi e verdure a foglia. "Le verdure fresche scarseggiavano e preparare un’insalata era praticamente impossibile," ha raccontato.

Difficoltà ovunque: dagli snack ai prodotti per l’igiene personale e la casa

Uno degli aspetti più difficili dell’esperimento è stata la rinuncia agli snack confezionati. Abituata a concedersi delle patatine nel pomeriggio, Beddington ha cercato alternative con carote, frutta secca e olive in barattolo. Nessuna di queste opzioni, però, le ha dato la stessa soddisfazione. Persino le bustine di tè, bevanda irrinunciabile per milioni di britannici, apparentemente innocue, si sono rivelate un inganno: all’interno erano sigillate in plastica per garantire la freschezza.

Se trovare alternative senza plastica per i detergenti domestici è stato relativamente semplice grazie ai punti di ricarica, il discorso è stato diverso per l’igiene personale. "Buona fortuna a cercare l’ibuprofene senza confezione in plastica," ha commentato con sarcasmo. Anche trovare un dentifricio alternativo è stato complicato: ha provato le pastiglie dentali, ma l’esperienza è stata deludente. "Era come lavarsi i denti con una caramella alla menta troppo dura".

Anche prodotti apparentemente ecologici si sono rivelati meno sostenibili del previsto. Alcuni produttori di spazzolini “riciclabili”, per esempio, non avevano ancora smaltito nessun prodotto perché non era stata raggiunta la cosiddetta “massa critica” necessaria per avviare il riciclo.

Vita sociale e viaggi: il peso della pianificazione

Affrontare la quotidianità fuori casa si è dimostrato un ulteriore ostacolo. Per una giornata fuori casa, la giornalista ha dovuto portare con sé una borraccia per la sua acqua quotidiana, una tazza riutilizzabile per bevande calde e snack preparati a casa. Nonostante la cura nei preparativi, è comunque finita per accumulare plastica a causa di piccole sviste.

Emma Beddington è una giornalista per 'The Guardian' e ha provato a vivere senza plastica per un mese, di fatto non riuscendoci.
Emma Beddington è una giornalista per 'The Guardian' e ha provato a vivere senza plastica per un mese, di fatto non riuscendoci.

Essendo vegana, il reperimento di fonti proteiche senza plastica è stato un altro grattacapo. Il tofu, uno dei suoi alimenti base, era sempre confezionato in plastica. Ha considerato l’idea di prepararlo da sola, ma anche gli ingredienti necessari – come la soia – erano venduti in sacchetti di plastica. "A un certo punto ho perso la motivazione. Mi sono ridotta a masticare lenticchie fredde direttamente dal barattolo" ha raccontato. Persino la sua tartaruga domestica è entrata in gioco: per non acquistare la solita cicoria confezionata, ha provato a darle denti di leone raccolti in natura, ma l’animale ha mostrato scarso entusiasmo.

Bilancio finale: tra orgoglio e sfinimento

Alla fine dei 30 giorni, Beddington ha raccolto in una scatola 20 oggetti in plastica accumulati nonostante gli sforzi, tra cui confezioni mediche e piccoli errori di distrazione. "Ridurre la plastica è possibile, ma richiede tempo, denaro e un impegno costante" ha scritto. Le spese online erano praticamente escluse, a meno che non si trattasse di fornitori specializzati in prodotti sostenibili, e la spesa nei supermercati si era rivelata un campo minato. Concluso l’esperimento, ha provato un misto di soddisfazione e stanchezza. E, dopo settimane di rigide restrizioni, si è concessa un piccolo lusso: un pacchetto da sei di patatine confezionate. "La mia vita forse non è più piena, ma i miei capricci lo sono", ha concluso con ironia.

 

Visualizza questo post su Instagram

 

Un post condiviso da Emma Beddington (@belgianwaffling)

Lascia un commento