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Hai mai provato a ricordare il tuo primo compleanno? O il momento in cui hai mosso i primi passi? Probabilmente no. E non sei l’unico. La maggior parte delle persone non ha alcun ricordo consapevole dei primi anni di vita. Ma perché succede? La risposta arriva da uno studio rivoluzionario dell’Università di Yale, pubblicato su Science nel marzo 2025. I risultati cambiano completamente ciò che pensavamo sulla memoria infantile.
Cos’è davvero l’amnesia infantile?
Il fenomeno ha un nome preciso: amnesia infantile. È quella strana condizione per cui non conserviamo i ricordi dei primi 2-3 anni di vita. Per anni gli scienziati hanno pensato che fosse colpa dell’ippocampo, l’area del cervello responsabile dell’archiviazione dei ricordi, ancora troppo immatura nei neonati. Ma le nuove evidenze raccontano un’altra storia. Un team guidato dal neuroscienziato Nick Turk-Browne, del Wu Tsai Institute, ha utilizzato una tecnologia innovativa: la risonanza magnetica funzionale (fMRI) adattata per neonati svegli. L’obiettivo? Scoprire cosa succede nel cervello dei bambini quando vedono un’immagine per la prima volta… e quando la rivedono.
Il gruppo di ricerca ha coinvolto 26 bambini tra i 4 mesi e i 2 anni. Durante l’esperimento, i neonati osservavano immagini di volti, oggetti e ambienti, mentre gli scienziati registravano l’attività del cervello in tempo reale. E qui arriva il colpo di scena. I risultati mostrano che l’ippocampo posteriore – la stessa zona legata alla memoria episodica negli adulti – era già attivo a 4 mesi di vita. I neonati fissavano più a lungo le immagini che avevano già visto, segno che le avevano riconosciute. In parole semplici: il cervello memorizza, ma il ricordo non è accessibile anni dopo.
Questo cambia radicalmente la teoria secondo cui “i bambini non ricordano nulla”. I ricordi si formano, ma svaniscono dalla nostra coscienza nel tempo. Non per colpa dell’immagazzinamento, ma per problemi di accesso.
Perché allora quei ricordi spariscono?
Gli scienziati ipotizzano tre motivi principali per cui perdiamo l’accesso ai ricordi dei primi anni:
- Riorganizzazione sinaptica: il cervello dei bambini si sviluppa così velocemente che le connessioni tra i neuroni cambiano radicalmente. Questo può “scollegare” i ricordi dai percorsi di recupero.
- Cambio di contesto: la mente di un neonato vive un mondo molto diverso da quella di un adulto. Anche solo la crescita del vocabolario e la percezione del tempo alterano il modo in cui cataloghiamo le esperienze.
- Interferenza del linguaggio: quando iniziamo a parlare, cambiamo il modo in cui pensiamo. I ricordi preverbali non si traducono facilmente nel nostro sistema linguistico da adulti. È un po’ come se avessimo registrato un film con un formato che non possiamo più leggere.

I bambini “sanno”, ma non possono raccontarlo
Il grande limite nello studiare la memoria nei bambini piccoli è evidente: non parlano. Non possono dirci "ricordo quando...". Ecco perché questo studio ha usato un approccio completamente nuovo, combinando:
- Osservazione del tempo di attenzione visiva: se un neonato guarda più a lungo un’immagine già vista, è perché l’ha riconosciuta.
- fMRI per neonati svegli: un’impresa tecnica, ma fondamentale per avere dati reali e affidabili.
- Follow-up temporizzati: gli scienziati hanno riproposto le immagini a distanza di minuti per vedere come cambiava la reazione.
Il risultato? Una mappa molto più chiara di come funziona la memoria nei primi anni.
Le implicazioni sono enormi
Questa ricerca non è solo una curiosità da laboratorio. Cambia il modo in cui vediamo l’infanzia, lo sviluppo cognitivo e anche le diagnosi precoci di disturbi neurologici. Se sappiamo che un bambino di 4 mesi è già in grado di codificare ricordi, possiamo intervenire prima nei casi in cui questa capacità manca o funziona in modo anomalo. Inoltre, apre nuove strade per migliorare l’educazione precoce. Capire quando e come il cervello è più ricettivo può rendere molto più efficaci le attività per lo sviluppo mentale nei primi anni.
