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La vedi in ogni supermercato, in confezioni eleganti, con scritte rassicuranti: “Bresaola della Valtellina IGP”. Immediatamente pensi a una mucca felice che pascola tra i prati verdi delle Alpi, in un silenzio idilliaco interrotto solo dal suono delle campane. Ma attenzione: quella che stai per mettere nel carrello potrebbe raccontarti una storia molto diversa.
Bresaola della Valtellina IGP: non tutto è come sembra
Partiamo da un dato di fatto: IGP non significa che la carne provenga dalla Valtellina. Lo ha spiegato in modo diretto e senza giri di parole RickTok, tiktoker specializzato in alimentazione, in uno dei suoi video diventati virali. Davanti allo scaffale del banco frigo di un supermercato, Rick mostra due confezioni: entrambe bresaola, ma solo una precisa che si tratta di “carne 100% italiana di bovino adulto italiano”. L’altra, invece, sfoggia il marchio IGP. Ma cosa vuol dire davvero?
Molti consumatori associano Indicazione Geografica Protetta a una qualità superiore e a una filiera corta. Ma nel caso della Bresaola della Valtellina IGP, basta che una parte della lavorazione avvenga in Valtellina. Non è necessario che le mucche siano nate, cresciute o anche solo abbiano mai visto le montagne lombarde. RickTok (@soltantorick) ironizza: “Immaginate quante vacche dovrebbero esserci in Valtellina se davvero tutta questa bresaola venisse prodotta lì”. E ha ragione. Perché la maggior parte della carne usata per la bresaola IGP è di importazione. E proviene da molto lontano.
Carne di zebù brasiliano: ecco cosa c’è davvero nella bresaola IGP
Secondo quanto dichiarato dallo stesso presidente del Consorzio di Tutela della Bresaola della Valtellina, gran parte della carne utilizzata per produrre la bresaola IGP proviene da zebù allevati in Brasile. Sì, hai letto bene: zebù, non mucche alpine. Si tratta di un bovino originario di Asia e Africa, oggi largamente allevato in Sudamerica, spesso incrociato con razze europee come la Charolaise per migliorare la resa e la qualità delle carni. La sua carne è magra, compatta e perfetta per essere stagionata. Ma è tutto tranne che "tipica" della Valtellina.

Questa è la grande contraddizione: puoi comprare una bresaola etichettata come “della Valtellina”, ma stai mangiando carne di animali cresciuti dall’altra parte del mondo, che magari sono stati solo lavorati negli ultimi passaggi in Italia. Una sorta di trucco legale, ma perfettamente conforme alle regole IGP, che prevede solo l’obbligo di realizzare alcune fasi della lavorazione (come la salagione o la stagionatura) nella zona geografica protetta.
Le origini della bresaola: dalla Valchiavenna alle tavole moderne
La bresaola è un salume antico, con radici che affondano nella storia alpina. Secondo studi etimologici, il termine deriverebbe da “bre”, il cervo (carne un tempo comune nelle regioni montane), e “sal”, ovvero salare. Una tecnica di conservazione usata già in epoca preistorica. Le prime testimonianze scritte risalgono al XV secolo, ma c’è chi fa risalire la sua nascita addirittura ai tempi delle incursioni degli Unni in Valchiavenna. I guerrieri, per affrontare le lunghe marce, portavano con sé strisce di carne salata e stagionata, appese alla sella. Niente plastica, niente conservanti. Solo sale e tempo. Oggi, quel prodotto è diventato un simbolo di leggerezza e benessere. Ma il passaggio dall’artigianale all’industriale ha lasciato più di un segno.
Le altre bresaole “alternative” (più trasparenti)
Esistono però varianti regionali che mantengono una filiera più corta e chiara. Alcuni esempi:
- Bresaola di cavallo, tipica del Veneto e dell’Astigiano
- Bresaola di cervo, prodotta in provincia di Novara
- Bresaola affumicata, nella tradizione della Valchiavenna
- Brisaula della Val d’Ossola, presidio Slow Food
Molti di questi prodotti sono realizzati con carni italiane tracciabili, spesso da piccoli allevamenti locali. Certo, il prezzo può essere più alto, ma in cambio c’è una maggiore consapevolezza su cosa stai mettendo nel piatto.
Occhio all’etichetta: i dettagli che fanno la differenza
Tornando alle confezioni del supermercato, RickTock dà un consiglio semplice ma fondamentale: leggi bene tutto. La dicitura “Bresaola della Valtellina IGP” racconta solo una parte della storia. Per conoscere l’origine della carne, devi cercare specifiche frasi come “carne di bovino adulto italiano” o “carne 100% italiana”. Nessuno sta dicendo che zebù sia sinonimo di scarsa qualità, ma chi vuole un prodotto al 100% italiano deve fare attenzione ai dettagli.
Spesso questi dettagli sono scritti in piccolo, magari sul retro della confezione. Ma sono la chiave per capire cosa stai mangiando davvero. Il marchio IGP resta una certificazione importante per la tutela delle tradizioni locali. Ma non è sinonimo di eccellenza, e non garantisce l’origine italiana delle materie prime. È lo stesso discorso che si fa, per esempio, per i pistacchi di Bronte: non sempre vengono coltivati a Bronte, basta che una fase del processo produttivo si svolga lì per ottenere la denominazione.
