Cosa vuol dire se non riesci a fare meno della musica, secondo la psicologia

Non riesci a stare più di una giornata intera senza premere play almeno una volta su Spotify, YouTube Music e simili? Ti senti vuoto senza un sottofondo musicale? Tranquillo, non sei solo. Ma sappi che dietro quella cuffia potrebbe nascondersi molto più di una semplice passione. Secondo ricerche recenti in ambito psicologico e neuroscientifico, l’ascolto costante della musica può diventare uno strumento di regolazione emotiva, un meccanismo di compensazione… o anche un campanello d’allarme. Dipende tutto da come – e quanto – ne fai uso.

Musica come medicina: dopamina e felicità in streaming

Partiamo dalla parte bella, anzi bellissima: la musica fa bene al cervello. Quando ascolti il tuo brano preferito, il cervello rilascia dopamina, lo stesso neurotrasmettitore che si attiva quando mangi cioccolato, ricevi complimenti o ti innamori. Succede tutto nel nucleus accumbens, l’area cerebrale del piacere e della ricompensa. È proprio per questo che puoi ascoltare la stessa canzone mille volte e volerla ancora. Si crea un circolo virtuoso, o vizioso, in cui la musica diventa una piccola “droga” naturale. Non a caso, uno studio dell’Università del Michigan guidato dal professor Frederick Conrad ha scoperto che l’86% delle persone ascolta ogni giorno la propria canzone preferita, e il 43% la ripete almeno tre volte.

Ogni brano che ami è anche una macchina del tempo. Le canzoni che ascolti si legano a momenti precisi della tua vita, creando connessioni emotive fortissime. Basta premere play su una canzone del passato per essere trasportati a un’estate del liceo, a un amore finito o a un viaggio indimenticabile. Non è magia: è il potere della memoria associativa. Il 38% dei giovani dice di trovare conforto riascoltando canzoni dell’infanzia o dell’adolescenza. La musica diventa un rifugio emotivo, un modo per rivivere emozioni e ritrovare sé stessi quando la realtà fa troppo rumore.

Quando la musica diventa una gabbia: attenzione alla dipendenza

Ma attenzione: non tutto ciò che fa stare bene è sempre innocuo. In certi casi, il bisogno di ascoltare musica continuamente può essere un segnale di disagio psicologico. Parliamo ad esempio di dissociazione: chi usa le cuffie come scudo per non affrontare la realtà potrebbe isolarsi e rifugiarsi in un universo parallelo sonoro. Oppure dell’effetto “earworm”, quando una canzone ti si incolla al cervello e non riesci più a toglierla, nemmeno di notte. Alcuni lo trovano fastidioso, altri lo vivono come un’ossessione.

Non poter fare a meno della musica ha precisi significati secondo la psicologia.
Non poter fare a meno della musica ha precisi significati secondo la psicologia.

Secondo studi pubblicati sulla Psychology of Music, questi episodi sono collegati a un’attività intensa dell’insula e della corteccia cingolata, aree coinvolte nella memoria e nell’elaborazione emotiva. In parole povere: la musica smette di essere piacere e diventa prigione.

Dipendenza? No, grazie: il trucco è nell’equilibrio

Ascoltare musica per quattro, cinque, anche sei ore al giorno non è raro. Anzi, il 90% dei giovani riconosce alla musica un ruolo fondamentale per la propria salute mentale. Ma quando l’ascolto diventa compulsivo, può somigliare molto a una dipendenza comportamentale. Uno studio del 2011 pubblicato su Current Biology ha rivelato che l’attesa di un brano amato attiva le stesse aree cerebrali della dipendenza (craving è il termine inglese, un misto tra "voglia" e "dipendenza") da sostanze stupefacenti. Lo stesso brivido, ma in formato audio.

E un esperimento ancora più curioso? Il celebre R.B. Zajonc, pioniere della psicologia sociale, ha dimostrato l’effetto della “mera esposizione” anche su… pulcini! Esponendoli a specifiche frequenze sonore prima della schiusa, i pulcini sviluppavano una preferenza per quel suono anche dopo la nascita. Insomma, la musica ci plasma ancor prima di uscire dall’uovo.

Psicologia della musica: come godersi la playlist senza finire in loop

La buona notizia? Non serve rinunciare alla musica per proteggersi dagli eccessi. Basta usarla con consapevolezza. Ecco tre dritte supportate da approcci scientifici:

  • Automonitoraggio: tieni un diario degli ascolti, annota come ti senti prima e dopo. Notturno? Compulsivo? Potrebbe nascondere un problema più profondo.
  • Diversifica: alterna generi, integra l’ascolto con attività come sport o lettura. La musica strumentale, in particolare, aiuta la concentrazione senza affaticare la mente.
  • Musicoterapia: se il bisogno diventa disfunzionale, un intervento guidato può aiutare. La terapia con la musica lavora su due fronti: riattivazione emotiva (rievocare e rielaborare ricordi) e regolazione dell’arousal (scegliere ritmi adatti al proprio stato psicofisico).

Il segreto è l’equilibrio: ascoltare per emozionarsi, non per anestetizzarsi. Perché la musica resta uno degli strumenti più potenti che abbiamo per capire chi siamo, dove siamo stati e dove vogliamo andare.

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