In ufficio c'è un dipendente che emana cattivi odori? Ecco cosa è obbligato a fare il datore di lavoro

È l’incubo di molti ambienti di lavoro ma di cui molti hanno timore a parlare per ovvi motivi. Chiunque lavori per più di un anno nello stesso posto ci passa almeno una volta: è pressoché inevitabile. L’open space profuma di caffè e toner, ma c’è quell’odore, costante, che nessuno ha il coraggio di nominare: il sudore. Soprattutto ora che le temperature massime si alzano. Colpa di un collega con scarsa igiene personale? Forse. Ma cosa può fare il datore di lavoro?

Il datore ha il dovere di intervenire: lo dice la legge

Non è solo questione di decoro. L’articolo 2087 del Codice Civile parla chiaro: il datore di lavoro ha l’obbligo di tutelare l’integrità psicofisica dei dipendenti. Se in ufficio c’è un dipendente che emana costantemente cattivi odori, tanto da generare lamentele esplicite da parte dei colleghi, il capo non può far finta di niente. Deve agire. Subito. Il canale TikTok "La legge al lavoro", molto popolare grazie i suoi caroselli informativi, lo spiega senza giri di parole. Se l’odore del collega diventa un problema per il benessere altrui, il datore può adottare misure risolutive fino ad arrivare a provvedimenti disciplinari, nei casi più estremi. Perché sì, anche l’igiene personale rientra nel rispetto dell’ambiente di lavoro.

Se un dipendente emana cattivo odore in maniera prolungata e continuativa, il datore di lavoro può intervenire con provvedimenti disciplinari.
Se un dipendente emana cattivo odore in maniera prolungata e continuativa, il datore di lavoro può intervenire con provvedimenti disciplinari.

Non tutti i contesti lavorativi sono uguali. Come spiegano gli esperti de "La legge per tutti", esistono ambienti in cui l’attenzione per la pulizia non è solo un optional: è una necessità assoluta. Stiamo parlando del settore alimentare, di quello farmaceutico o delle professioni sanitarie. In questi casi, la mancanza di igiene può trasformarsi in un rischio concreto per la salute pubblica. Non sorprende che in molte aziende siano previsti regolamenti interni molto dettagliati: linee guida sull’uso di deodoranti, divieto di indossare abiti sporchi, obbligo di docce giornaliere per chi lavora in contatto con prodotti alimentari o farmaci. E, naturalmente, sanzioni per chi non rispetta queste regole. L’igiene personale, in certi ambienti, è un dovere contrattuale.

Malattia: il datore non può sapere di cosa soffri

Un altro tema esploso su TikTok riguarda la privacy durante la malattia. In tanti ignorano una regola fondamentale del diritto del lavoro: il datore di lavoro non ha diritto a conoscere la tua diagnosi. Punto. Il certificato medico che riceverà conterrà solo una cosa: i giorni di prognosi. Non ci sarà scritto se hai la febbre, l’influenza o una gastrite nervosa. I tuoi dati sanitari sono protetti dal GDPR e da tutta la normativa sulla privacy. Se il tuo capo ti chiede provocatoriamente: "Ma cosa hai? Mal di capelli", sei liberissimo di non rispondere. E no, non sei maleducato. Stai solo facendo valere un tuo diritto. Il medico che ti ha visitato, inoltre, non può scrivere nel certificato dettagli sulla diagnosi da trasmettere all’azienda. Può solo comunicare all’INPS i dati completi, che resteranno riservati.

Controlli in ufficio? Le regole non si improvvisano

Un altro punto caldo riguarda i controlli sul posto di lavoro. Alcuni datori di lavoro, preoccupati per la produttività, pensano di cavarsela installando telecamere ovunque. Ecco, non si può fare. Installare videocamere per monitorare le prestazioni dei dipendenti è vietato per legge, salvo accordi sindacali o autorizzazioni specifiche dell'Ispettorato del Lavoro. Il Garante della Privacy è chiarissimo: niente sorveglianza occulta, né postazioni spiate.

E poi c’è il tema più dibattuto: quante volte si può andare in bagno durante l’orario di lavoro? Risposta semplice: quante volte serve, se ce n'è bisogno o urgenza. Non esiste un numero massimo. Ovviamente, il buon senso resta fondamentale. Se un dipendente passa metà giornata in bagno, e non ha alcuna patologia certificata, può essere richiamato o addirittura licenziato per giusta causa. Ma per il resto, nessuno può impedirti di rispondere al richiamo della natura.

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