Per quale motivo tante persone parlano sempre durante i momenti imbarazzanti? La psicologia ha una risposta e ci aiuta a scoprire aspetti e dettagli molto interessanti sull'argomento.
Nella quotidianità di ognuno di noi, è facile imbattersi in persone che amano parlare senza sosta, anche nei momenti in cui il silenzio sembrerebbe più appropriato. Quante volte ci siamo ritrovati in una riunione, a una cena o a un incontro casuale, con qualcuno che riempie ogni pausa con parole, battute, racconti, pur di evitare che cali il silenzio? Questo fenomeno, tanto comune quanto affascinante, solleva una domanda fondamentale: cosa spinge alcune persone a parlare continuamente, anche nei momenti di imbarazzo o disagio? Solitamente è proprio in quei momenti che si vive la difficoltà nel "non sapere cosa dire".
Le sensazioni provate sono davvero contrastanti e, tutto quello che sentiamo, finisce per trasmetterci emozioni complesse da dover gestire. E' però proprio in quei momenti che, alcune persone, finiscono per parlare ininterrottamente. C'è chi articola frasi e discorsi complessi e chi invece, mette insieme parole che non hanno troppo senso tra loro, solo per il gusto di poter parlare. Scoprire i motivi che spingono le persone a comportarsi in questo modo, è di sicuro un modo per poter analizzare molteplici atteggiamenti e andare nel dettaglio delle azioni più comuni e spesso, fraintendibili.
Perché il silenzio fa così paura: il valore psicologico della parola continua
Non si tratta solo di una questione di personalità estroversa o di semplice loquacità. Alla base di questo comportamento si celano meccanismi psicologici profondi che rivelano molto della nostra natura emotiva e sociale. Parlare incessantemente può rappresentare una strategia di coping. Si tratta di un modo per proteggersi da situazioni che mettono a dura prova la propria sicurezza interiore. Nei momenti d'imbarazzo, il silenzio può essere percepito come un vuoto minaccioso, un territorio inesplorato dove possono emergere ansie profonde. Riempire quel vuoto con parole diventa un gesto rassicurante, evitando pensieri intrusivi o sensazioni spiacevoli. Tuttavia, non è solo questione di paura: parlare può anche servire a creare connessioni, a mostrare interesse, a mantenere viva l'interazione, a costo di sacrificare l'ascolto autentico. Un altro aspetto interessante riguarda il bisogno di confermare la propria presenza. In situazioni sociali, l'identità personale passa spesso attraverso il linguaggio: chi parla si rende visibile, afferma la propria esistenza, cerca di non essere dimenticato o trascurato.

Il silenzio, contrariamente a quanto si possa pensare, non è uno spazio neutro. È carico di significati emotivi e sociali, spesso interpretato come segnale di tensione, rifiuto o inadeguatezza. Curiosamente, esiste anche una componente fisiologica. Nei momenti di stress o imbarazzo, il nostro corpo attiva il sistema nervoso simpatico, responsabile della risposta "lotta o fuga". Questo stato di attivazione può tradursi, tra le altre cose, in un aumento della loquacità. Parlare diventa una sorta di "fuga verbale", una reazione automatica per scaricare la tensione interna. Alla luce di tutto questo quindi, bisogno di parlare continuamente nei momenti d'imbarazzo racconta molto di più della nostra paura del silenzio. Parla del nostro bisogno di appartenenza, della nostra paura del rifiuto, della nostra lotta per sentirci a nostro agio con noi stessi e con gli altri.
Dinamiche comunicative nei gruppi secondo Bion e Foulkes
Nell'ambito della psicologia dei gruppi, Wilfred Bion e S.H. Foulkes si distinguono come due tra i principali esperti nell'analisi delle dinamiche di comunicazione all'interno dei gruppi. Bion sostiene che il gruppo tende a sviluppare una "mentalità collettiva", in cui alcuni individui possono emergere come figure dominanti nella comunicazione, utilizzando soprattutto il linguaggio verbale. Questo può servire sia a contenere ansie e conflitti interni, sia come mezzo per esercitare un certo controllo sugli altri partecipanti. Foulkes, invece, introduce il concetto di "comunicazione liberamente fluttuante", tipico dei gruppi terapeutici, dove alcuni membri si sentono più liberi di esprimersi senza filtri, rischiando però di limitare lo spazio di parola degli altri. Le motivazioni che spingono alcune persone a parlare troppo durante le attività di gruppo possono avere radici diverse, tra cui: la ricerca di attenzione o di approvazione da parte degli altri. Il tentativo di gestire l’ansia sociale, i modelli relazionali interiorizzati durante l’infanzia e la difficoltà nel riconoscere e soddisfare i propri bisogni emotivi.
