Per quale motivo non riusciamo a smettere di lavorare anche nel weekend? Ecco l'interessante spiegazione che devi assolutamente conoscere. Il modo per scoprire i dettagli più salienti.
Nel mondo iperconnesso di oggi, in cui le notifiche vibrano anche nel cuore della notte e l’accesso costante alla rete rende ogni momento potenzialmente produttivo, staccare davvero la spina è diventato un’impresa sempre più rara. I weekend, un tempo sacri per il riposo e il recupero, oggi sembrano spesso una semplice estensione della settimana lavorativa. Riunioni, e-mail da rispondere, progetti da portare avanti: per molti, il fine settimana non è più sinonimo di relax, ma un’occasione in più per eecuperare terreno o tenersi al passo.
Dietro questa spinta continua a restare operativi anche nei giorni di riposo si cela però qualcosa di più profondo di una semplice dedizione al proprio lavoro. La psicologia ha cominciato da tempo a indagare le ragioni di questo comportamento, e ciò che è emerso è che, per alcune persone, il lavoro diventa molto più di un dovere: si trasforma in un rifugio, una dipendenza vera e propria. Il fenomeno ha un nome preciso: workaholism, o dipendenza da lavoro.
Quando il lavoro diventa una fuga: le ragioni psicologiche
Uno studio internazionale condotto da Serrano-Fernández e colleghi nel 2021, spesso citato nella letteratura scientifica, ha portato alla luce come la dipendenza dal lavoro sia strettamente associata a un maggiore livello di disagio psicologico. Ansia, sintomi depressivi, stress cronico e un aumento significativo delle ore lavorate settimanalmente sono solo alcune delle conseguenze documentate. Ma cosa spinge una persona a lavorare senza sosta, anche quando non è strettamente necessario né economicamente vantaggioso? Per chi soffre di dipendenza da lavoro, il vuoto lasciato dall’assenza di attività può risultare insopportabile. I weekend, momenti teoricamente dedicati al relax, possono trasformarsi in un terreno ansiogeno dove l’ozio è vissuto come perdita di tempo o come segno di debolezza. In questi casi, lavorare diventa un modo per sedare l’irrequietezza e dare un senso alle giornate.

Molti workaholic usano il lavoro come una strategia per evitare di affrontare difficoltà emotive, relazionali o personali. Concentrarsi su compiti professionali permette loro di mettere in secondo piano emozioni scomode, come la tristezza, la frustrazione o la solitudine. Il lavoro, insomma, diventa una zona di sicurezza in cui rifugiarsi per non fare i conti con ciò che fa male davvero. Un altro aspetto cruciale è la percezione che il proprio valore personale dipenda esclusivamente da quanto si produce. In una società che esalta l’efficienza e la performance, molte persone interiorizzano l’idea che “più lavori, più vali”. Questo meccanismo psicologico può spingere a non fermarsi mai, neppure nei giorni destinati al riposo, per paura di sentirsi inutili o poco meritevoli.
Rompere il ciclo: come ritrovare un equilibrio
Riconoscere di avere un problema è sempre il primo passo verso il cambiamento. Ma uscire dal workaholism non è semplice, soprattutto perché è una dipendenza spesso socialmente accettata e, in certi contesti, addirittura incentivata. Per iniziare a ricostruire un equilibrio, gli esperti consigliano alcune strategie: Imparare a pianificare le pause con la stessa serietà con cui si pianificano le riunioni; Coltivare hobby e relazioni al di fuori dell’ambito lavorativo, per nutrire aspetti della propria identità spesso trascurati; Darsi dei limiti concreti, come spegnere il telefono aziendale nel weekend o disconnettersi dalle e-mail dopo una certa ora; Chiedere aiuto psicologico quando si avverte di aver perso il controllo o quando l’ansia da inattività diventa ingestibile. Il lavoro fa parte della nostra vita ed è fondamentale riuscire ad essere sempre sereni. Questo però non deve in alcun modo togliere del tempo alla vita personale. Il weekend è fatto per staccare e per rilassarsi, non dimenticarlo mai.
