Ecco cosa dice la psicologia sulle persone che molto spesso mangiano le unghie e cosa significa.
L’onicofagia, comunemente nota come l’abitudine di mangiarsi le unghie, rappresenta un fenomeno che va ben oltre il semplice gesto maniacale delle mani. In realtà, questo comportamento è un riflesso di dinamiche psicologiche profonde e spesso nasconde una complessa rete di emozioni e bisogni inespressi. Chi si dedica a questa pratica non sta soltanto rosicchiando unghie, ma cerca inconsciamente un modo per gestire tensioni interiori di varia natura.
Numerosi studi, tra cui quello di Roberts e colleghi del 2013, hanno evidenziato come l’ansia e lo stress siano i principali inneschi dell’onicofagia. Quando la mente si trova in uno stato di tensione emotiva elevata, il corpo cerca un canale attraverso cui scaricare quell’energia negativa. Il gesto ripetuto di mordere le unghie offre un sollievo momentaneo, un breve istante di pausa in cui il focus si sposta dal turbamento interiore a una sensazione tattile e concreta. Questo spostamento di attenzione, sebbene temporaneo, rinforza il comportamento, trasformandolo in un’abitudine difficile da interrompere.
Oltre all’ansia, l’onicofagia può riflettere un’aggressività repressa o un’insoddisfazione emotiva mai affrontata. In alcuni casi, il gesto di distruggere le proprie unghie diventa un modo simbolico per sfogare rabbia o frustrazione che non trovano spazio in espressioni verbali o sociali. È come se la mano rappresentasse il corpo stesso, e l’atto distruttivo sulle unghie simboleggiasse un tentativo di “far uscire” l’emozione negativa in modo silenzioso ma intenso. Psicologi clinici descrivono questo meccanismo come una forma di regolazione emotiva disfunzionale, in cui la persona cerca sollievo fisico anziché elaborare l’emozione a livello cognitivo.

Tutte le causa dell'onicofagia secondo gli esperti di psicologia
Le radici dell’onicofagia spesso affondano nell’infanzia e nell’adolescenza, periodi in cui i meccanismi di fronteggiamento delle emozioni non sono ancora del tutto maturi. Se un bambino osserva modelli familiari che gestiscono l’ansia con gesti simili come mordicchiare una matita o tamburellare con le dita potrebbe interiorizzare queste strategie come valide risposte allo stress. Col tempo, la pratica si consolida e diventa un comportamento abituale, soprattutto se rinforzata dall’effetto calmante immediato. Ogni gesto di onicofagia porta con sé un senso di colpa e rimorso, che a sua volta genera ulteriore ansia. Questo circolo vizioso spinge la persona a rinnovare il comportamento nella speranza di trovare ancora quel breve istante di calma. Il risultato è un’escalation di autocritica e tensione interna, che alimenta l’onicofagia anziché attenuarla.
Per spezzare questo schema, la psicologia suggerisce di sostituire il gesto distruttivo con un’alternativa più funzionale. Tecniche di mindfulness, esercizi di rilassamento muscolare progressivo o l’uso di oggetti da manipolare come palline antistress possono offrire un nuovo focus sensoriale. Fondamentale è anche riconoscere e accettare le emozioni alla radice: attraverso la terapia cognitivo-comportamentale, è possibile esplorare i pensieri automatici che generano ansia e sviluppare risposte più adattive.
