Quel dubbio che ti segue: perché non ricordi se hai chiuso l'auto? Il motivo

C'è un dubbio che persiste nella mente di molte persone e riguarda la chiusura dell'auto. Ecco un'interessante spiegazione.

Quante volte ti è capitato di camminare per qualche metro dopo aver parcheggiato l’auto e ritrovarti all’improvviso col dubbio: “Ma l’ho chiusa davvero?” Oppure uscire di casa e, pochi minuti dopo, chiederti se hai chiuso la porta? Non sei solo. È un fenomeno così comune che ha attirato l’interesse della psicologia e della neuroscienza da decenni.

Quel momento di incertezza, quella morsa improvvisa allo stomaco che ti spinge a tornare indietro per controllare, ha una spiegazione precisa. E no, non è necessariamente un sintomo di smemoratezza, né tantomeno un segnale che stai perdendo il controllo. Piuttosto, è una finestra su come funziona il nostro cervello, e su come l’automatismo e l’ansia giocano insieme un ruolo decisivo nella nostra quotidianità.

Il cervello in “pilota automatico”: perché non ricordiamo le azioni ripetitive

Una delle spiegazioni più solide a questo fenomeno arriva da una linea di ricerca psicologica nota come “memoria di verifica”. Un importante studio condotto da Constans e colleghi nel 1995 ha messo in luce un fatto cruciale: molte delle nostre azioni quotidiane vengono eseguite in maniera automatica, senza una consapevolezza piena e attiva. Quando chiudiamo l’auto, spesso stiamo già pensando a cosa dobbiamo fare dopo. Non prestiamo attenzione deliberata al gesto, e così il nostro cervello non lo registra davvero.

Perché controlli se l'auto è chiusa
Perché controlli se l'auto è chiusa

Il risultato? Quando cerchiamo di “richiamare” quel momento dalla memoria, non troviamo nulla. È come se quella scena non fosse mai stata archiviata. Questo spiega perché, anche se magari abbiamo effettivamente premuto il tasto per chiudere la macchina, non troviamo traccia mentale del gesto e iniziamo a dubitare.

Il nostro cervello, in pratica, è eccellente nel semplificare la vita tramite l’automatismo, ma questo ha un prezzo: le azioni ripetitive, svolte senza concentrazione, non lasciano un segno vivido nella memoria. Così, per protezione e sicurezza, subentra il bisogno di verificare. Ma c’è di più. Questo bisogno di controllo non è solo una questione cognitiva.

Quando l’ansia parla: il bisogno di rassicurazione

In psicologia, il termine “reassurance” indica la ricerca di rassicurazione per gestire incertezza e ansia. Controllare due volte (o tre, o quattro) se hai chiuso la macchina o spento il fornello è un modo per calmare il disagio interiore. È un piccolo rito che serve a ripristinare un senso di sicurezza, soprattutto quando siamo stressati, stanchi o sopraffatti dalle responsabilità.

Viviamo immersi in un flusso costante di pensieri, notifiche, preoccupazioni. Quando svolgiamo compiti abituali, come chiudere l’auto, la nostra attenzione è già altrove. Stiamo pianificando la riunione, pensando alla spesa o controllando lo smartphone. Questo multitasking mentale riduce la nostra capacità di vivere l’azione nel presente.

Il gesto viene compiuto, sì, ma in assenza di attenzione focalizzata. È un po’ come fare un sogno di cui ti resta solo la vaga sensazione, ma nessuna immagine chiara. Così, pochi minuti dopo, ti ritrovi con quel tarlo che insiste: “E se non l’avessi fatto?”

Un modo per uscire da questo schema è praticare la “consapevolezza intenzionale” (mindfulness). Invece di chiudere l’auto di corsa, prenditi un secondo per osservare il gesto, ascoltare il suono del clic, magari dirti mentalmente: “Ho chiuso l’auto”. Può sembrare banale, ma questo piccolo rituale attiva la memoria consapevole e riduce la necessità di controlli successivi.

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