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Ogni giorno milioni di persone afferrano il manico di un carrello della spesa senza pensarci troppo. Eppure, c’è un dettaglio curioso che attira l’attenzione di molti: perché i carrelli del supermercato sono “bucati”, fatti a rete o pieni di fori, invece di essere completamente chiusi come tanti altri contenitori (nel senso ampio del termine)? La risposta non è affatto banale. Dietro a quella struttura apparentemente semplice si nasconde una scelta ingegneristica precisa, studiata per migliorare la funzionalità, aumentare la sicurezza e semplificare la gestione nei supermercati. Ecco cosa c’è davvero dietro quei buchi.
Struttura “bucata”: una scelta legata a igiene e durata
Uno dei motivi principali riguarda la pulizia. I carrelli con superficie traforata evitano l’accumulo di liquidi e sporco. Se una bottiglia si rompe o un contenitore perde, il liquido scivola via attraverso la rete, evitando che ristagni sul fondo. In caso di pioggia (molti carrelli rimangono all'esterno dei supermercati), l’acqua non resta intrappolata all’interno del carrello. Questo previene la stagnazione d'acqua e la formazione di ruggine, prolungando la vita del carrello stesso. I modelli chiusi richiederebbero una manutenzione costante e più costosa. I grandi gruppi della distribuzione, come Esselunga e Carrefour, preferiscono strutture a rete proprio per questi motivi.

I buchi servono anche per un altro motivo: controllare il contenuto del carrello diventa molto più facile. I dipendenti possono osservare cosa c’è dentro da ogni angolazione, senza doverci passare vicino. Questo migliora la sicurezza interna e riduce il rischio di furti o tentativi di nascondere merce tra la spesa. Un carrello chiuso potrebbe diventare il nascondiglio perfetto. I supermercati lo sanno e puntano tutto sulla trasparenza, in tutti i sensi.
Leggerezza e manovrabilità: questione di comodità
Un carrello fatto di plastica piena o metallo chiuso sarebbe troppo pesante e ingombrante. La struttura a rete riduce il peso complessivo senza compromettere la resistenza. Anche i bambini riescono a spingere facilmente un carrello a metà carico. Le ruote, abbinate a una gabbia leggera ma robusta, rendono il carrello facile da guidare anche in corsie affollate. Un dettaglio non da poco in supermercati dove ogni secondo risparmiato conta.
Nei mesi caldi, la ventilazione fa la differenza. Un carrello “bucato” consente il passaggio dell’aria e mantiene freschi i prodotti deperibili come frutta e verdura. Nei supermercati all’aperto o nei mercati coperti, è una soluzione essenziale. Dal punto di vista della sicurezza, un carrello aperto evita anche situazioni pericolose: un bambino non può restare intrappolato, e sostanze come detersivi o liquidi versati si asciugano più facilmente senza ristagni nascosti.
La storia del carrello della spesa: da sedia a rotelle a icona globale
Il primo carrello della spesa lo dobbiamo a Sylvan Goldman, imprenditore di Oklahoma City, che nel 1937 ebbe un’idea geniale osservando una sedia pieghevole. Invece dei classici cestini a mano, pensò di montare due contenitori su ruote, rendendo la spesa molto più comoda. Nacque così il carrello moderno, introdotto per la prima volta nei supermercati Humpty Dumpty.
Non fu subito un successo. Le donne lo trovavano troppo simile a un passeggino, mentre gli uomini si rifiutavano di usarlo. Per cambiare l'opinione pubblica, Goldman assunse attori per fingere clienti soddisfatti. La strategia funzionò, e il carrello divenne uno standard in tutto il mondo.
Il carrello telescopico e l’idea della monetina
Nel 1947, Orla Watson brevettò il sistema telescopico che permette ancora oggi di infilare un carrello dentro l’altro. Questa innovazione rivoluzionò la logistica dei supermercati, riducendo lo spazio necessario per riporli.
Un’altra trovata geniale arrivò nel 1991 grazie a David J. Schonberg, che introdusse il meccanismo della monetina per sbloccare il carrello. Una piccola cauzione che assicura il ritorno del carrello al suo posto. In alcuni Paesi, come i Paesi Bassi, è stato temporaneamente abolito per motivi igienici durante la pandemia, ma in Svizzera e in molte parti d’Europa è ancora attivo.
