Perché si chiamano giorni "feriali" se sono quelli in cui lavoriamo? La spiegazione di Andrea Passador

Leggi “giorni feriali” e ti viene da pensare subito alle ferie. Ora che è estate, relax, spiaggia, pantofole e spensieratezza. E invece no: i giorni feriali sono quelli in cui si lavora. E lo sai bene. Dal lunedì al venerdì, sveglia all’alba, traffico, riunioni, email. Un paradosso linguistico che suona quasi come una beffa. Ma perché usiamo proprio questa parola per indicare la settimana lavorativa? Un po' come 'staccato' che si scrive tutto attaccato e 'tutto attaccato' che si scrive staccato.

A rispondere alla domanda è Andrea Passador, divulgatore su TikTok dov'è registrato con l'username prolisso0, esperto di arte, lingua e italianità. Un volto noto tra i contenuti virali che spiegano l’etimologia con stile e precisione. E lui, con la consueta ironia, ha fatto chiarezza su questa strana anomalia della lingua italiana.

“Feriale” viene da “ferie”: colpa della lingua o del latino?

La radice della questione è antica. E latina. Passador spiega che “feriale” viene da feriae, un termine latino che indicava i giorni dedicati al culto pubblico, in cui non si doveva lavorare. In pratica, giorni di festa a tutti gli effetti. “Dire che siamo in ferie durante le vacanze o una festività è perfettamente coerente”, puntualizza Passador. Insomma, la parola nasce bene: feriae vuol dire proprio giorni sacri, liberi da obblighi. Ma allora perché la usiamo per indicare il contrario, ovvero i giorni lavorativi?

Andrea Passador ha spiegato perché si chiamano giorni feriali anche se non siamo in ferie.
Andrea Passador ha spiegato perché si chiamano giorni feriali anche se non siamo in ferie.

La svolta – che ha mandato in confusione mezzo calendario – arriva con l’avvento del cristianesimo. La Chiesa decise di ripulire il calendario settimanale dalle origini pagane, sostituendo i nomi legati agli dei e ai pianeti con nomi più spirituali. Ecco che il lunedì diventò feria secunda, il martedì feria tertia, e così via. Ogni giorno feriale era una feria, ovvero una festività dedicata a un santo. In pratica, anche se si lavorava, il giorno era “feriale” perché associato a una celebrazione religiosa.

Il sabato e la domenica invece restarono fuori: dedicati al riposo e al culto del Signore, non rientravano nella conta delle feriae. Da lì nasce la divisione tra giorni feriali e festivi che conosciamo oggi. E anche l’equivoco.

Un corto circuito linguistico lungo secoli

Il tentativo di ribattezzare i giorni della settimana non funzionò del tutto. I vecchi nomi pagani – come lunedì da Luna e martedì da Marte – sopravvissero in praticamente tutte le lingue europee. Ma, in italiano, l’etichetta “feriale” rimase incollata ai giorni dal lunedì al venerdì. Una di quelle abitudini linguistiche dure a morire, che oggi creano confusione ogni volta che leggiamo “chiuso nei giorni non feriali”.

Passador, da perfetto intrattenitore della lingua italiana, chiude con una provocazione geniale: “A questo punto, o smettiamo di chiamarli feriali oppure lavoriamo il weekend. Oppure, dal lunedì al venerdì restiamo in panciolle. Che non sarebbe male”.

Il vero paradosso sta tutto qui: chi lavora nei giorni feriali lo fa in giorni che, per etimologia, dovrebbero essere dedicati al riposo e alla festa. Il latino dice una cosa, la realtà ne fa un’altra. E nel mezzo ci siamo noi, che corriamo tra un impegno e l’altro nei giorni in cui – tecnicamente – dovremmo onorare il calendario con un po’ di sano dolce far niente. In fondo, le parole sono come le mode: alcune passano, altre si incastrano nel vocabolario e nessuno le toglie più. “Feriale” è una di quelle. Un fossile linguistico travestito da normalità. E ogni lunedì mattina, quando parte la sveglia, ci ricorda che la lingua può anche essere ironica. A tratti crudele.

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