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Le chiamiamo parole inglesi, le infiliamo ovunque — in ufficio, in palestra, nei post su Instagram — ma spesso non esistono affatto nella lingua di Shakespeare. A fare chiarezza ci pensa Alessandra, un’insegnante d’inglese molto seguita su Instagram con il profilo @studiofacileconale, che dispensa pillole linguistiche della lingua franca per eccellenza. Nei suoi video, smonta alcune parole “inglesi” che in realtà sono invenzioni tutte italiane. Molte di queste sono diventate così comuni da finire persino nei comunicati ufficiali. Ma per un madrelingua inglese, sentirle suonerebbe del tutto assurdo. Vediamole nel dettaglio.
Smart working? Gli inglesi lavorano “from home”
Dall’inizio del 2020 la parola smart working è diventata utilizzatissima. La usano giornalisti, politici, aziende. Ma in inglese quella formula non significa nulla. Nessun inglese direbbe “I’m doing smart working today”. Quella che per noi è “una nuova modalità di lavoro agile”, in inglese si chiama semplicemente working from home, oppure più brevemente remote work. Il termine "smart" in inglese significa "intelligente", "furbo", "ben vestito" o "tecnologico", ma non ha nulla a che fare con il lavoro da remoto. Chi lavora da casa nel Regno Unito o negli Stati Uniti lo dice in modo semplice, diretto. Niente fronzoli.
Footing? Meglio correre con il “jogging”
Altro grande classico tutto italiano: il footing. Lo usiamo per indicare una corsetta leggera, da domenica mattina al parco. Ma in inglese questa parola non esiste. O meglio, esiste il verbo "to foot" con altri significati, ma nessuno va a fare “footing”. La parola corretta in inglese è jogging. E il verbo è “to jog”. Quindi la prossima volta che vi viene voglia di allacciarvi le scarpe da ginnastica per tenervi in forma, ricordate: niente footing, solo jogging.

Il “Pullman” non parte da Londra
Chi è cresciuto con le gite scolastiche, ricorda bene il termine pullman. Ma in inglese, nessuno lo usa. Non a Londra, non a New York, non a Sydney. Gli inglesi dicono bus per gli autobus urbani e coach per quelli a lunga percorrenza. Ma “pullman” è un’invenzione italiana. Il termine deriva da George Pullman, imprenditore americano dell’Ottocento che inventò le carrozze ferroviarie di lusso: i Pullman cars. In Italia abbiamo esteso il concetto agli autobus comodi e con i sedili reclinabili. Ma in inglese, nessuno ha fatto lo stesso.
Scotch: attenti a non berlo per errore
Quante volte abbiamo chiesto “passami lo scotch” per attaccare qualcosa? Ecco, in un contesto internazionale, occhio a non ricevere un bicchiere di whisky. In inglese infatti Scotch è sinonimo di whisky scozzese. Per indicare il nastro adesivo, gli inglesi usano la parola tape, oppure “adhesive tape” se vogliono essere più precisi. E il celebre “Scotch tape”? È un marchio registrato di nastro adesivo prodotto da 3M, come dire “Scottex” per la carta da cucina. Ma nel linguaggio comune, dire solo “scotch” porta dritti al bancone del pub.
Smoking: elegante, ma solo in italiano
Indossare lo “smoking” per una cena di gala fa molto chic. Ma chi parla inglese, per indicare quel tipo di abito usa ben altre parole. Negli Stati Uniti si chiama tuxedo, mentre nel Regno Unito è più comune dinner suit o dinner jacket. Il fraintendimento nasce dalla smoking jacket, un capo d’abbigliamento del XIX secolo che gli uomini usavano in casa per fumare sigari. Una giacca da relax, con taglio particolare, pensata per non impregnare i vestiti buoni con l’odore di fumo. La sua forma ha influenzato l’abito elegante moderno, e da lì, in Italia, abbiamo coniato la parola “smoking”.
Un dettaglio curioso emerso nei commenti ai video di @studiofacileconale: in inglese, “smoking” è ancora oggi usato come sostantivo o aggettivo riferito all’atto del fumare. Quindi attenzione a dire “I’m wearing a smoking”: rischiate di farvi guardare male.
Altre parole “inglesi” che capiamo solo noi
La lista non finisce qui. In Italia si usano anche parole come beauty case, che in inglese diventa makeup bag o toiletry bag. Oppure il meeting, che è corretto in inglese ma da noi viene usato per ogni occasione, anche per due chiacchiere al bar. L’effetto finale? A volte si crea una sorta di “inglese maccheronico” che fa sorridere, ma che in contesti formali o professionali può creare equivoci.
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