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Per alcuni il sonno è un'esigenza, per altri un vero e proprio piacere. C'è chi non vede l’ora di infilarsi sotto le coperte, chi prolunga le ore a letto nei weekend e chi considera la siesta un rituale irrinunciabile. Ma cosa rivela questo legame con il dormire, secondo la psicologia? A livello scientifico e psicologico, il piacere per il sonno può avere significati diversi, che variano in base al contesto emotivo, sociale e fisiologico della persona. Non si tratta soltanto di “pigrizia” o stanchezza cronica: dietro l’amore per il dormire si celano dinamiche molto più interessanti e personali.
Dormire come forma di benessere e autoregolazione
Il sonno è una funzione biologica essenziale. Secondo Matthew Walker, neuroscienziato dell’Università di California, dormire aiuta a consolidare la memoria, regolare le emozioni e proteggere il sistema immunitario (Walker, 2017). Chi ama dormire spesso lo fa perché riconosce, anche inconsciamente, quanto sia rigenerante quel momento. Non è raro che dopo una giornata impegnativa, il pensiero del letto diventi una vera ancora di salvezza. Non si vede letteralmente l'ora di mettersi tra le coperte e addormentarsi. In questi casi, il sonno agisce come un meccanismo di autoregolazione psicofisiologica: un modo per "resettare" corpo e mente, senza eccessi e senza fuga dalla realtà. Dormire non è un lusso, ma un gesto di cura verso sé stessi.
Il bisogno psicologico di protezione e sicurezza
Secondo la psicologa clinica Katharina Lederle, alcune persone sviluppano una preferenza per il sonno come rifugio psicologico. Abitudini come dormire con molti cuscini, luci soffuse o rumori bianchi possono essere segnali di un bisogno di sicurezza interiore, spesso legato all’infanzia (The Sleep Council). Il letto diventa allora un nido: un luogo intimo dove si abbassano le difese e ci si sente protetti. Questo aspetto emerge in modo particolare in soggetti introversi o con una maggiore sensibilità emotiva, che trovano nel sonno una pausa dalla stimolazione costante del mondo esterno.

Quando dormire diventa una fuga dallo stress
La psicologia clinica evidenzia anche un lato più critico: dormire troppo può diventare un segnale di disagio. La ipersonnia, ovvero la tendenza a dormire eccessivamente, è spesso collegata a disturbi dell’umore come la depressione o l’ansia generalizzata (American Journal of Psychiatry, 2008). In questi casi, il sonno non è un piacere sano, ma una strategia inconscia per evitare emozioni spiacevoli, responsabilità o decisioni difficili. Si dorme per non pensare, per “spegnersi”. È importante, quindi, osservare il contesto in cui si manifesta questa tendenza: dormire tanto non è sempre sinonimo di equilibrio, soprattutto se compromette la vita sociale o lavorativa.
Personalità e amore per il sonno: c’è una correlazione?
Alcuni tratti della personalità sembrano influenzare il rapporto con il sonno. Le persone calme, introspettive e riflessive tendono ad apprezzare maggiormente i momenti di riposo. Secondo un’indagine condotta dalla Personality and Individual Differences Journal, chi possiede un alto livello di neuroticismo o una bassa estroversione è più incline a cercare nel sonno un rifugio emotivo (Williams et al., 2010). Chi ama dormire spesso ha anche una maggiore tendenza alla contemplazione, alla creatività o a processi mentali profondi. Non è raro che scrittori, artisti o persone impegnate in attività mentali intense cerchino nel sonno uno spazio per rielaborare stimoli e idee.
Quando preoccuparsi: il confine tra piacere e sintomo
Non tutto ciò che riguarda il sonno è segnale di equilibrio. Se dormire troppo interferisce con la qualità della vita quotidiana, è bene valutare il proprio stato psicofisico. Stanchezza costante, difficoltà ad alzarsi, irritabilità o isolamento sociale possono essere segnali che qualcosa non va. Secondo l’American Sleep Foundation, il tempo ideale di sonno per un adulto varia tra le 7 e le 9 ore. Superare regolarmente questo limite potrebbe indicare un’alterazione del ritmo circadiano o la presenza di disturbi più complessi. In questi casi, il supporto di uno psicologo o di un medico del sonno può fare la differenza.
