Dirigente d'azienda: "La gente dovrebbe pagare per candidarsi a un lavoro, ecco perché", è polemica

Un dirigente d'azienda statunitense ha scatenato una bufera online dopo aver proposto un cambiamento radicale nel processo di candidatura lavorativa: introdurre un pagamento obbligatorio per candidarsi a un posto di lavoro. L’idea, arrivata da Mike Cee, fondatore e CEO di un’azienda americana nel settore della cannabis, ha generato polemiche in rete, specialmente dopo che il suo post su LinkedIn è stato condiviso e commentato centinaia di volte, prima di venire cancellato.

La proposta del CEO e il post controverso su LinkedIn

Cee aveva scritto, in un post poi rimosso, che i candidati dovrebbero pagare una piccola quota, ad esempio 20 dollari, per poter inoltrare una candidatura. Secondo lui, questa misura avrebbe potuto scoraggiare candidature non qualificate o non in linea con i requisiti richiesti, riducendo così la mole di curriculum che le aziende ricevono quotidianamente.

Il controverso post delle candidature a pagamento, oggi cancellato, è finito su Reddit
Il controverso post delle candidature a pagamento, oggi cancellato, è finito su Reddit

Nel suo messaggio, il dirigente si era chiesto se fosse “insensibile al mondo” proporre un simile approccio, ma ha subito incassato una raffica di critiche. Molti utenti lo hanno accusato di voler trarre profitto dalla disperazione delle persone, ricordando che chi cerca lavoro spesso si trova già in una situazione economica difficile. Nonostante le polemiche, Cee aveva tentato di chiarire la sua posizione, affermando che la proposta non aveva scopi di guadagno ma si trattava di un “esercizio di riflessione”. Secondo lui, il pagamento avrebbe dovuto garantire almeno un colloquio di persona, senza però assicurare il posto.

Le reazioni degli utenti: ironia e rabbia

Il chiarimento non ha placato gli animi, anzi. Su Reddit e LinkedIn centinaia di persone hanno sottolineato i rischi di un sistema simile. C’è chi ha commentato con sarcasmo che “il modo migliore per valutare un candidato non è il suo curriculum o la sua esperienza, ma la sua capacità di pagare per farsi intervistare”. Altri hanno messo in evidenza i pericoli di derive poco etiche, come aziende che potrebbero pubblicare annunci falsi solo per incassare le quote senza alcuna intenzione di assumere.

L’indignazione non si è limitata a osservazioni ironiche. Diversi professionisti hanno ricordato che, già oggi, molti candidati vengono sottoposti a prove pratiche non retribuite, progetti di valutazione e lunghi iter selettivi che comportano tempo e impegno. L’idea di dover aggiungere anche un esborso economico è stata vista come un ulteriore peso per chi è già in difficoltà.

Il dibattito sull’accesso al lavoro e il rischio discriminazione

La vicenda ha acceso un dibattito più ampio: introdurre una tassa per candidarsi significherebbe restringere ancora di più l’accesso al mondo del lavoro, rendendolo esclusivo e discriminante. Chi possiede già risorse economiche avrebbe più opportunità, mentre i giovani, i disoccupati di lunga durata o chi proviene da contesti svantaggiati rischierebbero di restare esclusi a priori.

Non sono mancate voci che hanno definito la proposta classista e fuori dalla realtà, soprattutto in un periodo in cui la precarietà lavorativa e i contratti instabili rappresentano la norma in molti settori. Se un’azienda cercasse davvero candidati motivati e qualificati, hanno osservato diversi utenti, dovrebbe investire su processi di selezione più mirati e non su barriere economiche.

Anche se il post è stato cancellato, la discussione rimane viva. Il caso ha dimostrato quanto la società sia sensibile al tema del diritto di accesso al lavoro e quanto sia percepito come inaccettabile introdurre ulteriori ostacoli finanziari. In un mercato in cui i candidati spesso devono inviare centinaia di curricula senza ricevere risposta, pagare per avere la possibilità di un colloquio appare a molti come una proposta ingiusta e inadeguata ai tempi.

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