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Un video pubblicato su TikTok da una content creator spagnola, @laura.angulox, sta facendo discutere il popolo di Instagram. Il motivo? Lei ha ammesso senza esitazioni che, durante i colloqui di lavoro in Australia, ha sempre mentito. Una scelta che in Spagna non avrebbe mai preso in considerazione, ma che dall’altra parte del mondo è diventata per lei una necessità. Il suo racconto diretto ha acceso un dibattito che continua a polarizzare l’opinione pubblica.
L’arte della menzogna ai colloqui di lavoro in Australia
Laura spiega di aver iniziato a dire bugie strategiche perché altrimenti non avrebbe avuto accesso a lavori di base, soprattutto nel settore della ristorazione. «In Australia – racconta – ci sono tantissimi stranieri e tutti cercano lo stesso tipo di lavoro all'inizio: fare i camerieri». Non si parla di posizioni di responsabilità, ma di impieghi in caffetterie e locali di quartiere, dove l’assunzione avviene in tempi rapidi e la rotazione del personale è altissima.

La giovane ammette che mentire non le ha creato scrupoli: «Quali esperienze dovrei avere per portare una fetta di torta a un tavolo? Per preparare uno smoothie non serve una laurea. Io imparo in fretta, non mi stanno affidando la gestione di un bar». Il suo punto di vista mette in evidenza una realtà spesso ignorata: in molti Paesi, la competizione tra migranti per lavori umili porta a scelte che altrove verrebbero considerate poco etiche.
Il caso dei caffè e l’esperienza da bartender
La creator cita un episodio emblematico: durante il primo impiego, aveva dichiarato di non saper preparare i caffè. «Non me lo hanno fatto fare, eppure colleghi che avevano mentito li preparavano senza esperienza reale. Alla fine venivano da me a chiedere quanti ml precisi di fatte ci volevano nel cappuccino». Un paradosso che dimostra come le bugie possano ribaltarsi, ma anche come la formazione pratica conti più del curriculum.
L’anno successivo Laura si è presentata a un colloquio come bartender. Anche in quell’occasione ha “aggiustato la verità”, dicendo di saper fare cocktail, pur precisando che non conosceva tutte le ricette australiane. «La prima ora è stata un disastro – ammette – perché leggevo nomi di drink mai sentiti. Cercavo le ricette online e le riproducevo. In una sola giornata avevo imparato tutto». A fine turno i titolari le hanno fatto i complimenti e una bambina l’ha perfino definita “una barista professionista” perché aveva osservato rapita i suoi movimenti rapidi con lo shaker. Per Laura, quella è stata la conferma che la menzogna iniziale le aveva permesso di dimostrare il suo reale valore.
Un video che divide il pubblico
Il contenuto è diventato virale e i commenti non si sono fatti attendere. Molti utenti hanno espresso solidarietà, sostenendo che Laura «ha parlato la lingua della verità» e che anche loro, in passato, avevano fatto lo stesso per ottenere un impiego. Tuttavia, la reazione non è stata unanime. Diversi bartender qualificati hanno criticato aspramente il suo atteggiamento, ritenendolo una mancanza di rispetto nei confronti di chi ha investito tempo e denaro in corsi professionali.
Il dibattito mette in luce un contrasto profondo tra chi vede la menzogna come un male minore in un contesto competitivo e chi la percepisce come una scorciatoia ingiusta. In questo senso, l’esperienza australiana di Laura diventa lo specchio di un fenomeno globale: la precarietà del lavoro migrante e le strategie, spesso estreme, per sopravvivere in mercati dove la meritocrazia non sempre trova spazio. Parlando di lavoro in Australia, eccone uno da 45$ l'ora raccontato da un'altra emigrata.
