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Solitudine assoluta e salute mentale: cosa succede alla mente del “last human”
La prima scossa arriverebbe dalla solitudine assoluta. L’essere umano è "un animale sociale" che vive di legami: la nostra identità si forma e si rafforza nello scambio con gli altri. All’inizio, quel silenzio potrebbe persino apparire liberatorio — niente obblighi, nessuna scadenza — ma i giorni successivi porterebbero il conto. Senza relazioni, la mente tende a irrigidirsi: ansia, insonnia, ruminazioni, cali di motivazione. Molti avrebbero sperimentato, in passato, quanto la mancanza di interazione prolungata alimenti malinconia e disorientamento; in un mondo vuoto, questi effetti verrebbero amplificati.
Come si reagirebbe? L’istinto di autoconservazione spingerebbe a cercare routine: parlare a voce alta per mantenere un dialogo interno, scrivere diari per ancorare i pensieri, registrare messaggi come promemoria. Qualora la solitudine diventasse pesante, il movimento aiuterebbe: camminare, esplorare quartieri, stabilire un itinerario quotidiano. Alternare attività fisica, cura del sonno e piccoli obiettivi eviterebbe che il tempo si dilatasse nel nulla.
Sopravvivenza quotidiana: energia, acqua, cibo, farmaci
Sul piano pratico, il pianeta resterebbe pieno di risorse accessibili. Magazzini, farmacie, biblioteche, archivi digitali ancora accesi per poco: quasi tutto sarebbe a portata di mano. Per settimane o mesi gli impianti elettrici continuerebbero a funzionare in modo intermittente, poi senza manutenzione inizierebbero a spegnersi e diventare inutilizzabili. Di conseguenza, tornerebbero centrali la gestione dell’acqua potabile (trovare serbatoi in quota, filtrare e bollire), il riscaldamento a legna o con combustibili immagazzinati, la luce fornita da torce e pannelli solari recuperati. Internet, telefoni, sistemi automatici diventerebbero presto ricordi.
Il cibo non mancherebbe nell’immediato: prodotti in scatola, riso, legumi secchi, conserve sono stati stoccati in abbondanza. Una rotazione ragionata ridurrebbe gli sprechi. Quando la catena del freddo venisse meno, servirebbe puntare su alimenti a lunga conservazione e su tecniche “low tech” come essiccazione e affumicatura. I farmaci essenziali andrebbero selezionati e conservati al riparo da luce e calore; manuali di pronto soccorso e guide pratiche, reperibili in biblioteche e scuole, offrirebbero istruzioni operative preziose. Per gli spostamenti, le automobili funzionerebbero finché carburante e batterie restassero utilizzabili; col passare dei mesi, biciclette e mezzi meccanici semplici diventerebbero le opzioni più affidabili.
Città senza manutenzione: quando la natura si riprende lo spazio
Nel frattempo, la natura ricomincerebbe a colonizzare le città. Erbacce tra l’asfalto, rampicanti sui balconi, volpi e cinghiali alle rotonde. Senza sfalci e potature, i margini verdi invaderebbero corsie e parcheggi. I materiali meno resistenti agli agenti atmosferici si deteriorerebbero velocemente; vetri e vernici scolorirebbero, legni marcirebbero, intonaci cadrebbero. In pochi anni le infrastrutture secondarie mostrerebbero cedimenti; in pochi decenni, interi quartieri assumerebbero l’aspetto di rovine avvolte dalla vegetazione. Gli ecosistemi locali, liberi da pressioni diffuse, allargherebbero l’areale; alcune specie opportuniste prospererebbero vicino alle aree urbane, altre tornerebbero dove erano state respinte dal rumore e dal traffico.
Per il superstite, ciò significherebbe una nuova relazione con il territorio. Mappe cartacee, bussole, guide naturalistiche tornerebbero utili. Più che dominare lo spazio, lo si attraverserebbe da ospite, attento alle stagioni, all’acqua, ai ripari sicuri e all’esposizione al vento. Anche la sicurezza richiederebbe scelte caute: evitare ponti dubbi, edifici lesionati, gallerie allagate; preferire percorsi a cielo aperto, ripari piccoli e facilmente controllabili.
Identità, memoria e significato: cosa rimane dell’umanità
La domanda più pesante non riguarderebbe una latta di fagioli in più, ma il senso. Cosa significherebbe essere l’ultimo rappresentante della specie umana? L’idea di non poter più dialogare, amare, crescere un figlio, fondare una comunità, cambierebbe la scala dei valori. Qualcuno sceglierebbe di custodire la memoria: scrivere cronache, catalogare fotografie, incidere date e luoghi su pietra o metallo, lasciare indicazioni su archivi e musei. Il gesto di “mettere in salvo le storie” diventerebbe una forma di resistenza all’oblio.

Nel corso dei mesi, la routine evolverebbe. All’inizio si correrebbe per “mettere da parte”; poi si cercherebbero ritmi sostenibili: una base sicura, un orto urbano recuperato, un laboratorio di riparazioni, un circuito di luoghi da visitare per controllare scorte e attrezzature. La lingua non sparirebbe finché venisse scritta e riletta; gli strumenti, finché qualcuno li prendesse in mano; la musica, finché una radio a manovella riuscisse a suonare una vecchia cassetta. La civiltà, pur senza cittadini, resterebbe in parte leggibile se chi sopravvive decidesse di farle spazio nella propria giornata.
Una nuova alleanza con il mondo: vivere, non solo resistere
Alla fine, tutto si ridurrebbe a una scelta: restare prigionieri dell’angoscia oppure stringere un’alleanza più sobria con la Terra. Camminare in città vuote potrebbe diventare un rito. Osservare gli animali che attraversano piazze un tempo affollate sembrerebbe uno spettacolo costante. Senza la fretta, l’orologio perderebbe potere; al suo posto subentrerebbero alba, luce, ombra, sera. Non si tratterebbe di rinnegare ciò che è stato, ma di abitare il presente con un rispetto nuovo: al centro non ci saremmo più noi, ma un pianeta che continua, indifferente, e che pure concede riparo, acqua, frutti, sentieri.
Se davvero domattina rimanesse un solo essere umano sulla Terra, non sarebbe soltanto la fine di molte abitudini. Comincerebbe un equilibrio totalmente diverso, in cui il superstite rappresenterebbe insieme la fragilità e la grandezza dell’umanità: capace di sbagliare, capace di imparare, capace — perfino nell’assenza di spettatori — di lasciare tracce che parlino di cura.
