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L’espressione "Mannaggia 'a Marina" è una delle imprecazioni più ricorrenti della lingua napoletana. Molti, ascoltandola, potrebbero aver pensato che fosse diretta a una donna di nome Marina vissuta in passato, ma non è così: il suo significato affonda le radici nella storia del Mezzogiorno e nei grandi eventi dell’Ottocento italiano. A chiarirlo è stato Gennaro Calvano, content creator che da anni divulga curiosità sulla cultura napoletana e sulla sua lingua, raccogliendo migliaia di visualizzazioni grazie a spiegazioni precise e coinvolgenti.
L’origine storica: la Real Marina del Regno delle Due Sicilie
Secondo Calvano, per comprendere l’origine di questa frase bisogna fare un passo indietro fino al 1860, anno cruciale per l’unità d’Italia. La Marina a cui si fa riferimento non è un nome proprio, ma la Real Marina Militare del Regno delle Due Sicilie, una delle flotte navali più potenti d’Europa all’epoca. Durante lo sbarco dei Mille guidati da Giuseppe Garibaldi in Sicilia, questa marina non oppose resistenza, permettendo al condottiero e ai suoi uomini di approdare senza grandi ostacoli.
Secondo i racconti dell'epoca, Francesco II di Borbone, ultimo re delle Due Sicilie, furibondo per quell’evento che segnò l’inizio della fine della dinastia borbonica, esclamò la frase “Mannaggia 'a Marina”, attribuendo tutta la responsabilità al mancato intervento della sua flotta. Da quel momento, l’espressione avrebbe cominciato a circolare tra il popolo, trasformandosi in una delle imprecazioni più comuni.
L’interpretazione linguistica: tra assonanze e sostituzioni
Non tutti, però, concordano con questa versione. Alcuni utenti di TikTok sostengono che l’origine sia diversa e legata a un fenomeno ben noto nel parlato: la sostituzione della bestemmia con termini che ne ricordano il suono, senza offendere direttamente il sacro. In questo caso, “Marina” avrebbe un’assonanza con “Maronna” (Madonna), trasformando così un’imprecazione religiosa in un’espressione più accettabile socialmente. Lo stesso processo si riscontra in altre aree del Sud Italia, dove frasi come “mannaia a ra Marina” vengono utilizzate come sostituti di espressioni molto più forti.

La testimonianza di diversi parlanti calabresi conferma questa interpretazione: anche in Calabria, lontano dal contesto borbonico, l’espressione viene usata nello stesso modo, a dimostrazione di come la lingua popolare crei adattamenti per evitare forme considerate blasfeme.
Le parole del napoletano e i legami con la storia
L’esempio di "Mannaggia 'a Marina" si inserisce in un fenomeno più ampio che caratterizza la lingua napoletana: la sua continua stratificazione di storia, cultura e contatti linguistici. Un caso interessante è quello dell’arancia, chiamata comunemente in napoletano “purtuallo”. Le teorie sull’origine di questo termine sono almeno tre. Una attribuisce il nome all’arrivo degli agrumi dal Portogallo, altra lo lega alla dominazione francese con l’espressione “pour toi”, e una terza, molto plausibile, riconduce l’etimologia a un calco linguistico dal greco, dove si dice “portokali” o “portokalos”.
Questi esempi mostrano come il napoletano non sia solo un dialetto, ma una vera e propria lingua che conserva nel suo lessico la memoria di commerci, invasioni e dominazioni. Ogni parola diventa un ponte tra passato e presente.
Tradizione orale e identità culturale
La diffusione di espressioni come “Mannaggia 'a Marina” dimostra quanto la tradizione orale abbia inciso nell’identità collettiva del Sud Italia. Anche se non esiste una versione ufficiale sull’origine dell’imprecazione, entrambe le interpretazioni – quella storica e quella linguistica – hanno trovato terreno fertile perché riflettono aspetti fondamentali della società: da un lato la memoria storica dei grandi eventi politici, dall’altro la necessità quotidiana di esprimere emozioni forti senza oltrepassare il limite religioso.
In questo senso, l’imprecazione napoletana diventa un simbolo di resilienza linguistica e di creatività popolare. Non stupisce che continui a essere usata ancora oggi, tramandata di generazione in generazione, e che resti una delle più caratteristiche del repertorio espressivo napoletano.
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