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La curiosità che diventa esperimento: la carbonara “made in Japan”
Tutto nasce da un’idea semplice: capire come il Giappone abbia adattato uno dei piatti simbolo dell’Italia,
la carbonara. Gli ingredienti originali — guanciale, pecorino romano, uova e pepe nero —
non sempre sono facili da reperire fuori dai confini italiani. In Giappone, ad esempio, il guanciale e il pecorino
sono considerati prodotti di nicchia: importati, costosi e spesso sostituiti con alternative più economiche.
E così, sugli scaffali dei supermercati nipponici, spunta la carbonara in busta. Una confezione di plastica con la foto di un piatto perfetto, le scritte in giapponese e la promessa di una “pasta all’italiana” pronta in pochi minuti. Pippo, incuriosito, decide di provarla nel suo appartamento, armato di spaghetti Barilla e un pizzico di scetticismo.
Dalla confezione alla padella: il test della salsa pronta
Dopo aver messo a bollire l’acqua, Pippo riscalda il contenuto della busta a fuoco basso per qualche minuto, senza esagerare per evitare di far bruciare il tuorlo e l'albume. Il primo impatto visivo, mentre la versa, non è incoraggiante: “Ha un odore strano, una consistenza parecchio liquida”, racconta nel video.
Ma la curiosità vince. Scola la pasta, la versa in padella, aggiunge la salsa e mescola con pazienza. Nel frattempo, per ingannare l’attesa, si concede qualche hosomaki al tonno, simbolo autentico della cucina giapponese.

Pochi minuti dopo, arriva il momento della verità. Il piatto è pronto: cremoso all’apparenza, ma dal colore un po’ spento. Pippo affonda la forchetta, assaggia e commenta con onestà: “Ha un fortissimo retrogusto di pepe. Poi c’è l’uovo. Nient’altro. È pasta con uovo e pepe”. Nessuna traccia evidente di pancetta o guanciale, il che lascia intendere che il sapore “italiano” sia stato solo accennato.
Carbonara e identità: quando le cucine si incontrano (e si scontrano)
Il video, diventato virale, apre una riflessione più ampia su come la cucina italiana venga percepita all’estero. In Italia, i piatti giapponesi sono spesso adattati ai gusti locali — uramaki al salmone, maionese, Philadelphia — ma anche in Giappone avviene qualcosa di simile. Le “carbonare” orientali diventano più leggere, meno sapide, talvolta addirittura dolci. È un incontro culturale, ma anche un piccolo scontro di gusti e tradizioni.
Va detto che in Giappone la normativa sugli alimenti è molto severa: se una confezione promette “bacon pieces”, deve contenerli davvero. È probabile, quindi, che il guanciale — o meglio, la sua imitazione — fosse presente in quantità minima o sminuzzato al punto da passare inosservato. Ma l’effetto finale resta quello di una carbonara reinterpretata, che poco ha a che vedere con la ricetta originale di Roma.
Il prezzo della nostalgia: quanto costa una carbonara in Giappone
Oltre al gusto, c’è anche la questione economica. In Giappone, cucinare all’italiana può diventare un piccolo lusso quotidiano. Lo stesso Pippo spiega che una confezione da 500 grammi di spaghetti Barilla costa circa 2,30 euro, mentre il pecorino romano o il guanciale possono superare facilmente i 10 euro per pochi etti.
La “salsa pronta” rappresenta quindi una scorciatoia economica per chi desidera un assaggio d’Italia senza spendere troppo, anche se il risultato finale lascia perplessi.
In fondo, non è una questione di giusto o sbagliato, ma di punti di vista. Così come noi italiani sperimentiamo versioni “creative” del sushi, i giapponesi si concedono una carbonara che parla la loro lingua, adattata ai loro gusti e alle loro abitudini alimentari. La magia della cucina sta anche in questo: cambiare forma pur mantenendo la memoria del sapore originale.
E se qualcuno, dopo aver visto il video, decidesse di non provare la carbonara in busta giapponese, beh, Pippo non fa prigionieri “Se venite in Giappone e non la provate, non vi perdete nulla”. Un consiglio sincero, condito con un sorriso e un pizzico di pepe. Forse anche troppo.
