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Nel cuore del Pacifico occidentale, a oltre 1.700 chilometri da Tokyo, si trova uno dei luoghi più curiosi e controversi del pianeta: Okinotorishima. Un atollo minuscolo, la cui parte non sommersa è grande appena quanto una stanza da letto, che il Giappone ha deciso di proteggere con un investimento di circa 400 milioni di euro. Una cifra che può sembrare sproporzionata, ma che racconta molto della geopolitica marittima dell’Asia orientale.
Un microterritorio al centro del Pacifico
Okinotorishima è un atollo corallino con una superficie emersa di appena 9,44 metri quadrati. Si estende però su una scogliera corallina di circa 8.482 metri quadrati, con un perimetro complessivo di 11 chilometri. È formato da due piccoli affioramenti rocciosi che, senza gli interventi umani, sarebbero stati da tempo sommersi dalle onde dell’oceano.
La sua storia ufficiale risale al 1931, quando il Giappone lo dichiarò parte del proprio territorio, inserendolo nella giurisdizione della Prefettura di Tokyo e del villaggio di Ogasawara. Da allora, quel minuscolo punto sull’oceano è diventato una questione di orgoglio nazionale e strategia economica.
Perché il Giappone investe centinaia di milioni in Okinotorishima
La chiave sta nella Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS), che riconosce a un’isola abitabile la possibilità di generare una zona economica esclusiva (ZEE) estesa fino a 200 miglia nautiche. Se Okinotorishima viene considerata un’isola a tutti gli effetti, il Giappone può rivendicare il controllo su un’area marina vastissima, ricca di risorse ittiche e potenziali giacimenti di minerali e gas naturali.

Il problema nasce dal fatto che diversi Paesi vicini, in particolare la Cina e la Corea del Sud, sostengono che Okinotorishima sia solo una roccia, non un’isola. E secondo la stessa UNCLOS, le rocce non possono generare una ZEE. Da qui la necessità, per Tokyo, di preservarla a tutti i costi: un modo per dimostrare alla comunità internazionale che l’isola esiste, resiste e, in qualche modo, “vive”.
Le opere di difesa: un laboratorio di ingegneria marittima
Negli ultimi decenni il Giappone ha messo in campo una serie di interventi ingegneristici imponenti. Le autorità hanno costruito barriere di cemento, strutture circolari anti-onda e piattaforme artificiali per proteggere gli scogli naturali dall’erosione. Oggi Okinotorishima appare come una sorta di fortezza futuristica in miniatura: torri di osservazione, sensori ambientali e una base tecnica utilizzata per il monitoraggio oceanico e la ricerca scientifica.
Queste operazioni hanno trasformato un ammasso di coralli in una piattaforma simbolica di sovranità. Nonostante le difficoltà, il governo giapponese ha continuato a finanziare la manutenzione e l’ampliamento delle strutture, affrontando un mare in costante cambiamento e tempeste sempre più violente a causa del riscaldamento globale.
Una disputa che va oltre la geografia
La disputa territoriale intorno a Okinotorishima non riguarda solo la geografia, ma anche il potere economico e militare nel Pacifico. La Cina accusa Tokyo di “artificializzare” il territorio per ottenere vantaggi marittimi illegittimi. Il Giappone ribatte che la protezione dell’atollo rientra nel proprio diritto sovrano e che Okinotorishima è una parte integrante dello Stato, alla pari delle altre isole remote del suo arcipelago.
Dietro queste posizioni si nasconde la corsa al controllo delle rotte commerciali del Pacifico e delle risorse sottomarine. Avere una ZEE più estesa significa garantire diritti esclusivi di pesca, accesso a minerali strategici e una maggiore presenza nelle acque internazionali. In un’epoca in cui l’equilibrio geopolitico tra Tokyo, Pechino e Washington si ridefinisce di anno in anno, anche un isolotto può diventare un tassello decisivo.
Okinotorishima oggi: un simbolo della strategia marittima giapponese
Oggi Okinotorishima è costantemente sorvegliata e monitorata. Le strutture di protezione vengono rinforzate periodicamente per contrastare l’erosione e garantire la stabilità dell’atollo. Il costo di manutenzione rimane elevato, ma per il Giappone è un prezzo accettabile pur di mantenere un presidio nel cuore del Pacifico.
La storia di Okinotorishima mostra come, nel XXI secolo, anche un lembo di terra di pochi metri possa assumere un valore geopolitico incalcolabile. Non è solo una questione di confini: è una sfida al tempo, al mare e alla politica internazionale. Un’isola grande quanto una stanza, ma capace di influenzare gli equilibri economici e strategici di un intero oceano.
