Indice dei contenuti
Nel Medioevo, la società era rigidamente divisa in classi e corporazioni. Non tutti potevano scegliere il proprio mestiere e molti lavori, pur essendo indispensabili, erano considerati degradanti o disonorevoli. Con la sensibilità di oggi, queste occupazioni appaiono durissime, insalubri e spesso pericolose. Alcune erano vere e proprie condanne a vita. Vediamo quali erano i sette peggiori mestieri medievali e perché nessuno vorrebbe svolgerli oggi.
Becchino e seppellitore di peste: tra morte e paura
Durante le grandi epidemie, in particolare la peste nera del XIV secolo, i becchini diventavano figure essenziali. Dovevano trasportare, seppellire o bruciare i cadaveri delle vittime, spesso senza protezioni e in condizioni estreme. I cronisti dell’epoca, come Giovanni Villani e Gabriele de’ Mussis, descrivevano questi uomini come “ombre tra i vivi”, costantemente esposti al contagio e all’emarginazione. Nessuno voleva avvicinarsi a loro: vivevano ai margini delle città, in capanne isolate, e morivano spesso giovanissimi. Oggi non è il mestiere dei sogni per il 99% della popolazione, ma la situazione è totalmente cambiata rispetto ai secoli scorsi.
Boia: necessario ma disprezzato
Il boia era una figura indispensabile per l’amministrazione della giustizia medievale. Eseguiva condanne a morte e torture pubbliche, strumenti ritenuti legittimi per mantenere l’ordine. Tuttavia, la sua funzione lo condannava a un isolamento sociale permanente. Non poteva partecipare alla vita civile, sposarsi liberamente o entrare nelle corporazioni. In molte città tedesche e italiane, il boia riceveva compensi elevati, ma viveva fuori dalle mura cittadine. Nonostante la paga, nessuno gli stringeva la mano. Era considerato “impuro”, al pari dei becchini o dei macellai, altro mestiere che oggi è normalissimo ma che nel Medioevo era malvisto dai più.
Conciatore di pelli e tintore: un inferno di odori e sostanze tossiche
Il conciatore di pelli lavorava tra escrementi, urina e carcasse in decomposizione. Per ammorbidire le pelli si usavano soluzioni di ammoniaca e feci animali, che saturavano l’aria di miasmi insopportabili. Le concerie sorgevano ai margini delle città, spesso lungo i fiumi, dove i rifiuti venivano scaricati direttamente nell’acqua. Le mani dei conciatori erano continuamente ulcerate e infette.
Il tintore non stava meglio: per fissare i colori si serviva di sostanze corrosive come l’allume e l’urina fermentata. Le officine dei tintori emanavano un odore acre e velenoso, e l’inalazione costante dei vapori riduceva drasticamente la salute dei lavoratori. Tuttavia, la moda e il commercio dei tessuti colorati facevano di questi mestieri un pilastro dell’economia urbana medievale.
Raccoglitore di sanguisughe e lavandaio: tra infezioni e disprezzo
Il raccoglitore di sanguisughe era un mestiere diffuso in Inghilterra, Germania e Italia settentrionale. Servivano ai medici per la pratica del salasso, una cura che si credeva utile per bilanciare gli “umori” del corpo. I raccoglitori entravano nelle paludi a gambe nude e lasciavano che le sanguisughe si attaccassero alla pelle per poi staccarle a mano. Le ferite si infettavano facilmente e non di rado causavano setticemia o anemia cronica.
Anche il lavandaio viveva ai margini della società. Lavorava per ore in acque gelide, strofinando panni di nobili e religiosi, spesso sporchi di sangue o feci. Le malattie respiratorie erano comuni, così come le infezioni cutanee. I lavandai non godevano di alcun prestigio: venivano considerati “servi dell’acqua sporca”.
Minatore e cacciatore di topi: due vite sotterranee
Tra i lavori più duri spicca quello del minatore. Armato solo di picconi e lanterne a olio, scendeva per ore in gallerie strette e soffocanti. I crolli, i gas tossici e la polvere di carbone o metallo compromettevano i polmoni in pochi anni. In molte miniere europee, l’aspettativa di vita non superava i trent’anni. Nonostante tutto, i minerali estratti erano fondamentali per le armi, le campane e gli utensili delle città medievali.

Un altro mestiere poco invidiabile era quello del cacciatore di topi. Figura realmente esistita, documentata già dal XIII secolo, si occupava di contenere le infestazioni di roditori che devastavano granai e città. Questi uomini si muovevano tra fogne e vicoli portando trappole rudimentali e bastoni. Il rischio di contrarre malattie come la peste era altissimo. Alcuni storici collegano la leggenda del Pifferaio Magico di Hamelin proprio a questi personaggi, testimoniando quanto la loro presenza fosse necessaria ma anche temuta.
Il prezzo della sopravvivenza
Tutti questi mestieri condividevano un tratto comune: erano indispensabili, ma disprezzati. L’Europa medievale si reggeva sul lavoro sporco, quello che garantiva igiene, materiali e sicurezza, ma che nessuno voleva vedere. Chi lo svolgeva veniva emarginato e trattato come invisibile. Eppure, senza becchini, conciatori o minatori, le città medievali non avrebbero potuto sopravvivere né prosperare.
Oggi, guardando a quei mestieri, comprendiamo quanto sia cambiata la percezione della dignità del lavoro. Le condizioni di chi viveva “nelle ombre” del Medioevo ci ricordano quanto progresso e giustizia sociale siano conquiste recenti, nate anche dal sacrificio di chi ha lavorato dove nessun altro avrebbe voluto mettere piede.
