Il Mostro, pioggia di critiche per la nuova serie Netflix: cosa non è piaciuto

La nuova serie NetflixIl Mostro”, diretta da Stefano Sollima e disponibile dal 22 ottobre 2025, ha acceso un dibattito e critiche: ecco cosa non è piaciuto.

Il Mostro è una miniserie in quattro episodi che riporta alla ribalta uno dei casi di cronaca più inquietanti e misteriosi della storia italiana: quello del Mostro di Firenze, il serial killer che tra il 1968 e il 1985 terrorizzò la Toscana con otto duplici omicidi. La serie ha saputo conquistare l’attenzione degli spettatori per la sua potenza visiva e per l’approccio realistico e crudo con cui ricostruisce l’Italia rurale di quegli anni. Tuttavia, non tutti sono rimasti pienamente soddisfatti. Anzi, sui social, non mancano le voci deluse da alcune scelte narrative precise.

Il Mostro, cosa non è piaciuto della serie Netflix: le critiche dei telespettatori

Il malcontento nasce soprattutto da un dettaglio: solo quattro episodi per raccontare un caso giudiziario tanto complesso e ramificato. Molti telespettatori si aspettavano una narrazione più ampia, capace di abbracciare le numerose piste seguite negli anni. Non solo, anche le infinite indagini e le teorie che ancora oggi dividono gli esperti. Invece, la serie si concentra quasi esclusivamente sulla cosiddetta “pista sarda”. Vale a dire quella che vede coinvolti alcuni uomini originari della Sardegna trasferitisi in Toscana, tra cui Stefano Mele e i fratelli Vinci.

commenti il mostro
Alcuni commenti del pubblico sui social dopo aver visto la serie tv su Netflix, fonte: Instagram

Questa scelta, se da un lato offre coerenza e compattezza narrativa, dall’altro ha lasciato fuori intere fasi investigative che negli anni successivi hanno segnato la storia del caso. Molti spettatori hanno sottolineato come la serie non accenni minimamente ad altre piste o sospettati che hanno occupato le cronache per decenni. Un limite che, secondo alcuni, rende la ricostruzione parziale. Rischierebbe, quindi, di semplificare eccessivamente un mistero che continua a far discutere criminologi, giornalisti e appassionati di true crime.

 

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Il punto di vista scelto da Sollima, tuttavia, non punta tanto a svelare un colpevole, quanto a raccontare il clima di sospetto e paura che avvolse l’Italia di quegli anni. Al centro della storia troviamo Silvia Della Monica, interpretata con intensità da Liliana Bottone che incarna perfettamente la determinazione e la sensibilità della vera magistrata. Quest'ultima, negli anni Ottanta, contribuì in modo significativo alle indagini. Silvia è l’unica donna in una squadra investigativa dominata da uomini, e la sua presenza diventa simbolo di un cambiamento sociale lento ma necessario.

Un mondo di violenze: tra patriarcato e omertà

Attraverso il suo sguardo, la serie racconta un mondo intriso di patriarcato, violenze domestiche e omertà, dove le donne spesso pagavano il prezzo più alto. Non c’è solo il mostro con la pistola, ma anche i “mostri” quotidiani che abitano nelle famiglie, nei silenzi, nelle gelosie e nei pregiudizi. È questo l’aspetto più interessante della miniserie: l’idea che il male non sia solo un volto sconosciuto da catturare, ma una presenza diffusa, culturale, collettiva.

Sollima riesce a creare un’atmosfera cupa e densa, fatta di sguardi sospettosi e verità taciute. Ogni episodio affonda in un microcosmo sociale e psicologico, dove il confine tra vittima e carnefice si fa sottile. Eppure, la durata ridotta della serie finisce per limitare la profondità di questo affresco. In quattro puntate, molte sfumature restano appena accennate, e la sensazione finale è quella di un racconto che avrebbe meritato più spazio per respirare.

È probabile che questa scelta sia stata voluta: Sollima non cerca di dare risposte, ma di far emergere il caos e l’ambiguità morale che circondano il caso. Tuttavia, per un pubblico abituato alle serie true crime più corpose e dettagliate, l’assenza di un quadro più completo può risultare frustrante. Non è da escludere, però, l'uscita di un'eventuale seconda parte o stagione.

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