Questa donna ha portato Dio in tribunale: com'è andata a finire

Nel 1969, negli Stati Uniti, una storia tanto assurda quanto affascinante fece il giro dei giornali: una donna, Betty Penrose, decise di citare in giudizio Dio. Non per scherzo, ma con una vera causa legale depositata presso una corte californiana. Il suo caso, divenuto celebre, è ancora oggi raccontato come uno dei più paradossali episodi della storia giudiziaria americana.

Chi era Betty Penrose e perché fece causa a Dio

Betty Penrose era una segretaria di Phoenix, in Arizona. La sua vita cambiò bruscamente quando, nel 1960, un fulmine colpì la sua casa, distruggendola quasi completamente. Anni dopo, ancora scossa per la perdita, il suo datore di lavoro e avvocato, Russell T. Tansie, ebbe un’idea tanto provocatoria quanto geniale: intentare una causa contro Dio per “negligenza” e chiedere un risarcimento di 100.000 dollari.

L’intento non era solo economico. La vicenda nasceva come una provocazione legale sul concetto di responsabilità divina e sul limite della giustizia umana. Ma per far sì che una causa contro Dio fosse formalmente accettata, serviva un dettaglio: dimostrare che Dio possedesse dei beni nel territorio degli Stati Uniti, così da renderlo soggetto alla giurisdizione.

Il paradosso del Morning Star Ranch

È qui che entra in scena un’altra figura bizzarra: Lou Gottlieb, cantante e fondatore della comune hippie Morning Star Ranch in California. Per sfuggire alle multe imposte dalle autorità locali, Gottlieb aveva legalmente trasferito la proprietà del ranch a “Dio”. L’atto notarile, realmente registrato, rese per un breve periodo “Dio” il titolare ufficiale di un terreno californiano. Quando l’avvocato Tansie venne a conoscenza della vicenda, capì che quello era il cavillo perfetto: se Dio possedeva beni in California, allora Dio poteva essere citato in giudizio. E così fece. La causa fu depositata in tribunale e la notizia divenne subito virale sui giornali dell’epoca, dal Sydney Morning Herald all’Indianapolis Star.

Il caso della donna che ha portato Dio in Tribunale circola da anni sul web
Il caso della donna che ha portato Dio in Tribunale circola da anni sul web

La realtà, però, fu meno spettacolare del previsto. La corte californiana dichiarò che Dio non poteva essere considerato una “persona legale”, né naturale né artificiale, e quindi non poteva possedere beni o comparire in tribunale. Di conseguenza, il titolo di proprietà del Morning Star Ranch venne annullato e la causa di Penrose fu respinta. Non ci fu alcun processo, nessuna udienza, nessun risarcimento. Tuttavia, la vicenda fece scuola, diventando un esempio citato in numerosi corsi di diritto e in manuali di logica giuridica. Qualcuno la definì “una lezione ironica sulla presunzione della giustizia umana”, altri la videro come una provocazione utile a riflettere sui limiti del sistema legale. Molti content creator rilanciano la storia affermando che la donna avrebbe vinto, ma è del tutto falso: Dio non era presente in aula e non ha potuto rimborsarle nulla.

Non solo Penrose: altri casi contro Dio

Il caso Penrose non rimase un episodio isolato. Nel 2008, in Nebraska, il senatore Ernie Chambers intentò una nuova causa contro Dio, chiedendo un’ingiunzione permanente contro le “attività dannose” attribuite alla divinità. Chambers voleva attirare l’attenzione sull’accesso pubblico alla giustizia, sostenendo che chiunque dovesse poter portare qualunque caso davanti a un giudice, persino contro Dio.

Il tribunale, naturalmente, respinse anche quella denuncia: non era possibile notificare legalmente l’atto a Dio, “non avendo un indirizzo fisso”. Chambers rispose ironicamente che, essendo Dio onnisciente, “era comunque a conoscenza della causa”. La storia fece sorridere mezzo mondo, ma aprì un dibattito serio sul concetto di accessibilità del sistema giudiziario.

Un episodio tra ironia e filosofia

Oggi la vicenda di Betty Penrose resta un simbolo dell’assurdo giuridico, ma anche una riflessione profonda sulla fede, la legge e i limiti della logica umana. Portare Dio in tribunale è, in fondo, un modo per chiedere risposte all’inspiegabile, per dare forma legale a un dolore che sfugge a ogni spiegazione. La sua storia continua a circolare online e a incuriosire lettori di tutto il mondo, soprattutto nei social e nei motori di ricerca, dove il confine tra provocazione e realtà si confonde. E, forse, è proprio questo il suo lascito più grande: ricordarci che, davanti all’imprevedibile, anche la giustizia deve arrendersi a qualcosa di più grande di sé.

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