Prima di Frankenstein di Guillermo del Toro c'è un altro mostro molto più dolce che sapeva solo amare.
Quando si parla di Guillermo del Toro, si entra sempre in un mondo sospeso tra sogno e incubo. Oggi, 7 novembre 2025, il regista messicano torna al cinema con il suo nuovo attesissimo film Frankenstein. Ma prima di questo nuovo capitolo dedicato al mostro più celebre della letteratura, vale la pena ricordare un’altra sua creatura indimenticabile: quella di La forma dell’acqua – The Shape of Water. Un film che ha lasciato un segno profondo nel cuore del pubblico e della critica, raccontando una storia d’amore fuori da ogni schema, dove la diversità diventa poesia e il diverso non è più qualcosa da temere, ma da comprendere.
Il mostro prima di Frankenstein di Guillermo del Toro: dolcezza disarmante
Il film è disponibile su Disney+. Uscito nel 2017, La forma dell’acqua è considerato uno dei capolavori assoluti di Del Toro. Con questa pellicola, il regista ha conquistato il Leone d’Oro al Festival di Venezia e ben quattro Premi Oscar, tra cui Miglior Film e Miglior Regia. Un trionfo che ha consacrato il suo talento visionario e la sua capacità di trasformare il fantastico in emozione pura. Ambientato negli Stati Uniti del 1962, durante la Guerra Fredda, il film ci porta in una Baltimora grigia e oppressiva, dove la paura del diverso è più viva che mai. Elisa Esposito, interpretata da una straordinaria Sally Hawkins, è una donna muta che lavora come addetta alle pulizie in un laboratorio governativo segreto.

Vive una vita semplice e solitaria, divisa tra il suo piccolo appartamento e le giornate trascorse con Zelda, la sua collega e confidente, e Giles, il suo vicino di casa, un artista gentile ma anch’egli emarginato. Tutto cambia quando Elisa scopre, nei sotterranei del laboratorio, una creatura anfibia catturata in Sud America. È un essere misterioso, temuto dagli scienziati e torturato dai militari che lo considerano un oggetto di studio. Elisa, però, vede in lui qualcosa di diverso: un’anima. Tra i due nasce un legame silenzioso e profondo, fatto di gesti, sguardi e musica. Un amore che sfida le regole e le convenzioni, capace di superare le barriere fisiche, culturali e morali imposte dalla società.
Guillermo del Toro costruisce una fiaba per adulti, dove la mostruosità non appartiene alla creatura, ma agli uomini che la circondano. Michael Shannon, nel ruolo del crudele agente governativo Strickland, incarna la violenza e la paura del diverso che attraversano quel periodo storico, ma che parlano anche all’oggi. Al suo opposto, Elisa rappresenta la purezza e la libertà del sentire: una donna fragile solo in apparenza, capace invece di compiere un atto rivoluzionario, scegliendo l’amore come forma di ribellione.
L'acqua come elemento centrale del film
L’acqua, elemento centrale del film, diventa il simbolo della trasformazione. Scorre tra le pareti, avvolge i corpi, unisce due mondi che sembravano destinati a non incontrarsi. È il segno di un sentimento fluido, libero da definizioni e pregiudizi, proprio come la relazione tra Elisa e la creatura. In questo senso, La forma dell’acqua è anche un inno alla libertà di essere se stessi. Non solo, anche alla capacità di guardare oltre le apparenze e trovare la bellezza nell’imperfezione.
Del Toro firma una regia magistrale, curando ogni dettaglio visivo con la precisione di un pittore. I colori, le luci, la colonna sonora evocativa di Alexandre Desplat, tutto contribuisce a creare un’atmosfera sospesa, malinconica e struggente. Ogni scena è una piccola opera d’arte, costruita per emozionare e far riflettere. Oltre alla protagonista, il cast offre interpretazioni memorabili: Octavia Spencer nei panni della leale Zelda, Doug Jones nella difficile e affascinante parte della creatura, e Richard Jenkins come Giles, la voce della tenerezza e della nostalgia. Insieme danno vita a un microcosmo di esclusi che, proprio grazie alla loro diversità, riescono a riscrivere il significato dell’amore e dell’umanità.
La forma dell’acqua non è solo una storia d’amore, ma anche una riflessione politica e sociale. Parla di inclusione, di empatia e della necessità di ascoltare chi è diverso. È un film che denuncia la paura dell’altro, ma lo fa con grazia e sensibilità, attraverso una narrazione che mescola il romanticismo con il fantastico, la realtà con il sogno. Oggi, con l’arrivo del suo nuovo Frankenstein, Del Toro sembra voler chiudere un cerchio: ancora una volta racconta un mostro che non è davvero tale, ma vittima della paura umana.
