Un uomo, dopo aver annunciato alla sua azienda che stava per diventare padre, è stato licenziato nel giro di due settimane. Come prevedibile, il dipendente non si è arreso e ha fatto causa all'impresa. Alla fine ha vinto lui, con un risarcimento pecuniario non da poco.
Tutto è iniziato il 27 gennaio 2023. Ormai due anni fa, un giovane lavoratore nella provincia autonoma della Cantabria, in Spagna, è stato licenziato dal suo impiego come conducente-meccanico. Sebbene i licenziamenti siano parte della vita lavorativa, in questo caso emerge una storia di discriminazione e ingiustizia che ha trovato il suo epilogo in un'aula di tribunale, con una vittoria per il dipendente.
Il lavoratore era stato assunto a fine 2022, e sin dall'inizio aveva condiviso con l'azienda il desiderio di diventare padre, sebbene avesse riscontrato difficoltà nel raggiungere questo obiettivo. A dicembre dello stesso anno, aveva accompagnato la sua compagna a una visita presso un centro di riproduzione assistita, un dettaglio di cui l'azienda era a conoscenza. Due settimane dopo aver comunicato ufficialmente che lui e la sua partner aspettavano un figlio, l'azienda lo licenziò, adducendo un presunta calo di produttività. Tuttavia, non c'eano prove a supporto di questa accusa.
La battaglia legale
Inizialmente, l'azienda riconobbe che si trattava di un licenziamento improprio e offrì un risarcimento di 763,12 euro. Tuttavia, il lavoratore decise di non accettare e presentò una denuncia, sostenendo che il licenziamento era stato motivato da una discriminazione basata sulla sua imminente paternità. In primo grado, il Tribunale del Lavoro aveva respinto la richiesta del dipendente, affermando che non vi era alcuna correlazione tra il licenziamento e la sua paternità, dato che il bambino sarebbe nato solo sei mesi dopo. Tuttavia, il lavoratore non si arrese e presentò ricorso al Tribunale Superiore di Giustizia della Cantabria, invocando la violazione del diritto fondamentale all'uguaglianza e alla non discriminazione, garantito dall'articolo 14 della Costituzione spagnola.
La sentenza: giustizia per il lavoratore
Il Tribunale Superiore di Giustizia ha ribaltato la decisione iniziale, riconoscendo che il licenziamento era avvenuto per evitare le conseguenze legali legate alla futura paternità del dipendente. Questo includeva il diritto al congedo di paternità e alla conciliazione familiare, elementi che l'azienda aveva chiaramente cercato di eludere.
La sentenza ha dichiarato nullo il licenziamento, obbligando l'azienda a:
- Reintegrare il lavoratore nel suo precedente ruolo e con le stesse condizioni contrattuali.
- Risarcirlo con 7.501 euro per la violazione del suo diritto fondamentale all'uguaglianza e alla non discriminazione.
- Pagare i salari arretrati dal momento del licenziamento.
Discriminazione riflessa e diritto al lavoro
La corte ha sottolineato che il comportamento dell'azienda rappresentava un caso di "discriminazione riflessa indiretta". La decisione di rescindere il contratto non era supportata da ragioni valide, ma piuttosto motivata dal tentativo di evitare obblighi legali e fiscali legati alla paternità. Questo caso evidenzia come il diritto al lavoro e alla conciliazione familiare siano protetti dalla legge, impedendo alle aziende di penalizzare i dipendenti per eventi personali come la nascita di un figlio.

In base alla normativa vigente spagnola, un datore di lavoro non può licenziare un dipendente a causa della sua imminente paternità o per motivi legati al congedo familiare. Inoltre, non è consentito ridurre unilateralmente l'orario di lavoro o cambiare le mansioni del dipendente per motivi discriminatori.
