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Una giovane di 20 anni ha ottenuto un risarcimento enorme popo essere stata licenziata per aver indossato scarpe da ginnastica sul posto di lavoro. La vicenda si è conclusa con un successo legale per la ragazza, che ha accusato il suo ex datore di lavoro di "vessazione" e di aver creato un ambiente ostile.
I fatti della vicenda
La protagonista della vicenda si chiama Elizabeth Benassi, che all'epoca del licenziamento aveva solo 18 anni. La giovane era stata assunta come consulente per l'impiego presso Maximus UK Services, un'azienda che collabora con il Dipartimento del Lavoro e delle Pensioni per aiutare le persone a trovare lavoro e uscire dal sistema assistenziale. Entrata in azienda nell'agosto del 2022, Benassi era la più giovane dipendente di Maximus UK Services.
Dopo solo un mese, un incidente ha segnato l'inizio delle tensioni. Un giorno, Elizabeth si presentò al lavoro indossando scarpe da ginnastica, venendo subito redarguita dalla sua responsabile, Ishrat Ashraf. Nonostante le sue scuse immediate, Benassi notò che altri colleghi indossavano calzature simili senza ricevere lo stesso trattamento. La giovane inviò un’email di protesta alla sua responsabile, lamentandosi di un comportamento che giudicava ingiusto: “Non ero a conoscenza del divieto e mi sono scusata. Tuttavia, ho notato che non sono l'unica a indossare scarpe da ginnastica e non ho visto nessun altro essere rimproverato”.
La questione fu portata all’attenzione del Responsabile Operativo dell’azienda, che confermò l'inadeguatezza del suo abbigliamento, sottolineando la necessità di un codice d'abbigliamento professionale.
Un ambiente lavorativo ostile
Nei giorni seguenti, Benassi fu sottoposta a un controllo molto severo da parte dei colleghi e dei superiori. Un episodio in particolare contribuì ad aumentare l’imbarazzo della giovane: durante un incontro con un cliente, chiese il permesso di andare in bagno, un gesto che alcuni colleghi giudicarono poco professionale. Tuttavia, il giudice del Tribunale del Lavoro di Croydon, Eoin Fowell, difese Benassi, affermando che il suo comportamento era giustificato dal contesto di monitoraggio costante cui era sottoposta.
La situazione culminò il 31 ottobre dello stesso anno, quando, al termine del periodo di prova di tre mesi, Benassi fu licenziata. Tra le motivazioni ufficiali addotte dall'azienda figuravano "preoccupazioni relative alle prestazioni" e la mancata adesione al codice di abbigliamento.
La battaglia legale e il risarcimento
La giovane, scontenta per il trattamento ricevuto, decise di portare il caso in tribunale, accusando l'azienda di molestie basate sull'età e di accanimento. Sebbene la prima accusa sia stata respinta, il tribunale ha riconosciuto la validità della seconda, assegnandole un risarcimento di 29.187 sterline. Al cambio attuale sono poco più di 35.100€.

Il giudice Fowell ha sottolineato che Benassi era stata trattata in modo ingiusto e discriminatorio, affermando: "Nessuna considerazione è stata fatta sul fatto che fosse una nuova assunta e potesse non avere ancora familiarità con il codice di abbigliamento. Questo dimostra una chiara ingiustizia".
Reazioni e implicazioni
Il caso di Elizabeth Benassi solleva questioni importanti sull'equilibrio tra regole aziendali e trattamento equo dei dipendenti. La sentenza non solo ha garantito un risarcimento significativo per la giovane, ma ha anche messo in evidenza l'importanza di creare un ambiente lavorativo rispettoso e inclusivo.
Per Benassi, il risarcimento rappresenta una vittoria non solo economica ma anche morale, dimostrando che è possibile far valere i propri diritti, anche contro grandi organizzazioni. Il caso serve da monito per le aziende, ricordando l'importanza di trattare tutti i dipendenti con equità e rispetto, indipendentemente dall'età o dal grado di esperienza.
