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Quando una persona parla di sé stessa in terza persona, l’effetto può sembrare curioso, se non addirittura bizzarro. Frasi come "Mario è stanco" o "Sara pensa che sia una buona idea" possono spiazzare chi ascolta, ma secondo la psicologia, questa modalità di espressione non è priva di significato e può essere legata a diverse motivazioni, emozioni e persino strategie cognitive.
Parlare di sé in terza persona è spesso interpretato come un tentativo di prendere le distanze emotive da una situazione. Questo comportamento può emergere in contesti in cui una persona si trova ad affrontare un conflitto, un problema o un’emozione intensa. Riferirsi a sé stessi in terza persona permette di guardare la situazione "da fuori", come se si fosse un osservatore esterno.
La ricerca psicologica ha evidenziato che questa strategia può aiutare a regolare le emozioni. Secondo uno studio pubblicato nel Journal of Personality and Social Psychology, parlare di sé in terza persona aiuta a ridurre il carico emotivo e a prendere decisioni più razionali. In pratica, questo distanziamento cognitivo consente di elaborare i pensieri senza essere sopraffatti dalle emozioni del momento.
Un riflesso dell’infanzia
Questo comportamento può anche avere radici nell’infanzia. I bambini piccoli, ad esempio, spesso parlano di sé stessi in terza persona: "Luca vuole il gelato" o "Giulia è stanca". Questo accade perché il concetto di sé è ancora in via di sviluppo, e riferirsi al proprio nome aiuta a costruire un senso di identità. Sebbene questa modalità di espressione tenda a scomparire con la crescita, in alcuni casi può persistere, specialmente se associata a determinati contesti emotivi o sociali.
Una tecnica per migliorare il controllo di sé
Un altro aspetto interessante è che parlare di sé in terza persona può essere utilizzato consapevolmente come una tecnica per migliorare il controllo di sé. Studi condotti dall’Università del Michigan hanno dimostrato che il "self-talk in terza persona" può aiutare le persone a gestire meglio lo stress. Ad esempio, dire a sé stessi "Maria può superare questa situazione" può infondere una sensazione di maggiore sicurezza rispetto a un dialogo interno più diretto, come "Posso farcela".
Narrazione personale e immagine pubblica
In alcuni casi, parlare di sé in terza persona può essere una forma di narrazione personale, usata per attirare l’attenzione o costruire un’immagine pubblica. Questo è particolarmente comune tra personaggi pubblici, artisti o atleti, che utilizzano questa tecnica per sottolineare un tratto della propria personalità o creare una sorta di "marchio" unico. Ad esempio, un calciatore che dice "Ronaldo è il migliore" enfatizza la propria identità pubblica in modo distintivo.

Possibili segnali di disagio psicologico
Sebbene nella maggior parte dei casi parlare di sé in terza persona non sia motivo di preoccupazione, in alcuni contesti può essere associato a condizioni psicologiche specifiche. Ad esempio, potrebbe essere un segnale di distacco dalla realtà in individui con schizofrenia o disturbo dissociativo dell’identità. Tuttavia, è importante non trarre conclusioni affrettate: questo comportamento deve essere valutato nel contesto più ampio della persona e del suo stato mentale.
Conclusione: una pratica più comune di quanto sembri
Parlare di sé in terza persona non è necessariamente un comportamento strano o preoccupante. Può rappresentare un tentativo di distanziarsi emotivamente, una strategia per affrontare lo stress o un modo per costruire un’immagine di sé. In alcuni casi, può anche avere radici nell’infanzia o essere una manifestazione di narrazione personale.
In ogni caso, questo comportamento rivela quanto sia complessa la nostra mente e quanto le parole che usiamo per parlare di noi stessi possano influenzare il modo in cui viviamo e affrontiamo il mondo.
