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C'è chi sogna una vita tranquilla in mezzo alla natura, vedendo poche (o nessuna) persone al giorno. E poi c’è chi, dopo averci provato, ti racconta anche l’altro lato della medaglia. È il caso di una giovane donna trasferitasi con la famiglia in uno dei minuscoli borghi dell’Aragona, una delle regioni spagnole più colpite dalla desertificazione demografica. Il suo racconto, diventato virale su TikTok, ha acceso i riflettori su un tema attualissimo: vivere in un paesino di appena 50 abitanti non è per tutti.
Secondo i dati dell’Instituto Nacional de Estadística, solo in Spagna ci sono oltre 78mila località con meno di 100 abitanti. Una vera e propria costellazione di paesini dimenticati, soprattutto nelle province di Burgos, Guadalajara e Ávila. Luoghi dove la popolazione invecchia, i servizi chiudono e la vita moderna fatica ad arrivare. E mentre le città si affollano, i piccoli comuni scompaiono nel silenzio. Ma com’è davvero vivere in uno di questi posti? La giovane protagonista del profilo @explorarural ha deciso di raccontarlo senza filtri. Ecco le tre cose peggiori che ha scoperto dopo il trasferimento.
1. “Tutti sanno tutto di te, anche prima che tu lo sappia”
Nel suo video, la ragazza non gira intorno al problema principale: l’invadenza. “La privacy non esiste. Qui i pettegolezzi viaggiano più veloci del Wi-Fi”, scherza. E aggiunge: “Se esci due volte con la stessa persona, ti stanno già preparando il matrimonio”. Il controllo sociale nei piccoli centri è una realtà nota: bastano pochi passi fuori casa perché la tua giornata diventi di dominio pubblico. Una situazione che può risultare soffocante, soprattutto per chi arriva da una città dove si può camminare per chilometri senza incrociare nemmeno uno sguardo conosciuto. Anche una semplice passeggiata diventa un evento sotto osservazione: “Se non ti vedono per un giorno, ti danno già per dispersa”. L’effetto? Un senso costante di essere osservati. Che piaccia o meno, l’anonimato nei paesini è un lusso che non esiste.

2. “Dottore? Ambulanza? Supermercato? Non pervenuti”
Altro punto dolente: l’assenza totale di servizi essenziali. “Non ci sono medici, né ambulanze. Se succede qualcosa, devi pregare che sia lieve”, racconta. E in effetti, i dati confermano che in molti paesini spagnoli, specialmente in Aragona, trovare un ambulatorio aperto è quasi un miraggio. Anche fare la spesa diventa un’odissea. Niente supermercati, né minimarket. La soluzione? Scorte settimanali o spostamenti di decine di chilometri. “Senza macchina, qui sei perso”, dice la giovane. E per i più tecnologici che pensano al food delivery, arriva la doccia fredda: “Siamo a 40 chilometri dalla città più vicina. Non puoi ordinare nulla. Devi cucinare o farti 80 chilometri tra andata e ritorno”.
Questo isolamento logistico rende complicato anche l’accesso all’istruzione, all’assistenza sanitaria e persino ai servizi postali. Non è raro che le scuole vengano chiuse per mancanza di alunni o che i postini passino solo una volta a settimana.
3. “Niente McDonald’s, niente sushi, niente di niente”
Per chi è cresciuto con il fast food a portata di click, l’assenza totale di ristoranti, bar e intrattenimento può essere spiazzante. “Non c’è un posto dove prendere un caffè o una birra con gli amici. Non c’è nemmeno un bar”, lamenta la ragazza nel suo video. A mancare, più del cibo, è la vita sociale strutturata: nessun cinema, zero palestre, nessuna libreria. Il tempo libero si riduce a lunghe passeggiate, chiacchiere con i vicini e, per i più fortunati, una connessione a internet abbastanza stabile per guardare una serie su Netflix. L’isolamento culturale pesa. “Qui non arriva nessuna mostra, nessun evento, nessun festival. È come se fossimo fuori dal mondo”, sottolinea. Eppure, nonostante le difficoltà, la giovane riconosce anche aspetti positivi. E sono proprio questi a tenere vivo l’equilibrio.
Perché rimanere allora?
Nonostante le critiche, il video non si trasforma in un atto d’accusa. Anzi, la ragazza chiude con una riflessione onesta: “Le case sono sempre aperte. I bambini possono giocare per strada in libertà. Non c’è criminalità. E poi, il silenzio qui è un bene prezioso”. In effetti, molte famiglie si trasferiscono nei borghi proprio per ritrovare un ritmo più umano, lontano dallo stress delle metropoli. E chi riesce a superare le difficoltà iniziali, spesso non torna più indietro.
Il suo racconto ha trovato migliaia di visualizzazioni e commenti. Molti utenti, soprattutto genitori, si sono detti affascinati da questa vita “slow”, fatta di relazioni vere, natura e semplicità. Altri, invece, hanno dichiarato senza mezzi termini: “Preferisco vivere nel traffico che senza un ospedale vicino”. La città perfetta non esiste.
