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Tra tutti i termini usati per descrivere l’etnia delle persone, "caucasico" è probabilmente quello che genera più confusione. Suona scientifico, preciso, quasi neutro. Ma basta scavare un po’ sotto la superficie per scoprire che la sua origine è tutto tranne che scientifica. In effetti, il motivo per cui molti ancora oggi definiscono “caucasiche” le persone bianche è legato a un’antica ossessione estetica dell’Ottocento, e a un cranio georgiano ritenuto “perfetto”.
L'origine del termine “Caucasico”: tutto nasce da un cranio
Il termine entrò nella scienza nel 1795, per mano dell’antropologo tedesco Johann Friedrich Blumenbach, docente all’Università di Göttingen. Lo studioso, considerato uno dei padri dell’antropologia fisica, aveva messo insieme una collezione di 245 crani umani. Tra tutti, uno lo affascinava più degli altri: un cranio proveniente dalla Georgia, regione montuosa situata nel Caucaso.
Blumenbach riteneva che quel cranio rappresentasse la forma “più bella” e armoniosa dell’essere umano. Partendo da lì, affermò che la razza “bianca” doveva avere avuto origine proprio nel Caucaso. Così nacque la classificazione "caucasica" per indicare le popolazioni europee e parte di quelle del Medio Oriente e del Nord Africa. Sì, hai letto bene: una teoria razziale basata su un gusto estetico personale. Secondo lui, la “bellezza” del cranio georgiano era una prova sufficiente per eleggere quella popolazione a modello universale. Da lì, il termine prese piede a livello internazionale.
Come è diventato un termine legale (soprattutto negli Stati Uniti)
Il prestigio accademico di Blumenbach, combinato con la fama dell’ateneo di Göttingen, contribuì a diffondere il termine "caucasico" nel mondo scientifico. Ma a renderlo davvero popolare fu l’uso che ne fece il sistema legale statunitense. Già nel 1790, la legge americana sulla naturalizzazione prevedeva che solo “uomini bianchi liberi” potessero diventare cittadini. Nei decenni successivi, la distinzione tra chi era considerato “bianco” e chi no diventò sempre più rilevante per le decisioni giuridiche. E così la classificazione di Blumenbach entrò direttamente nei tribunali e nelle pratiche dell’amministrazione americana.

Un esempio concreto: nel caso United States v. Bhagat Singh Thind del 1923, la Corte Suprema si trovò a decidere se un immigrato indiano di religione sikh potesse essere considerato "caucasico" e quindi eleggibile alla cittadinanza. Il caso si concluse con un rifiuto, ma dimostrò quanto fosse radicata – e allo stesso tempo arbitraria – questa etichetta.
Oggi è un concetto scientificamente superato
La scienza moderna ha da tempo demolito l’idea che le razze umane possano essere divise su base biologica. Lo ha chiarito in modo definitivo Alan R. Templeton, genetista e biologo evoluzionista della Washington University di St. Louis, che nel 2016 ha affermato: "La risposta alla domanda se le razze esistano negli umani è chiara e inequivocabile: no". Secondo Templeton e gran parte della comunità scientifica, le variazioni genetiche tra gruppi umani sono continue e complesse, senza linee nette di separazione. Le razze, nella biologia umana, sono un concetto privo di base genetica.
Nonostante la sua inconsistenza scientifica, il termine “caucasico” non è scomparso dal linguaggio quotidiano. Negli Stati Uniti, lo si ritrova ancora oggi in moduli legali, nei documenti ufficiali e persino nei rapporti della polizia. In molti casi, viene usato come sinonimo di “bianco”, ma spesso include anche persone di origine mediorientale o nordafricana. Lo stesso accade in Australia, dove le forze di polizia statali e federali utilizzano tuttora la categoria “caucasico” accanto ad altre etichette come “asiatico”, “aborigeno” o “altro”.
Questo uso persistente dimostra quanto sia difficile estirpare un termine che ha radici profonde nella burocrazia e nella cultura popolare. Anche quando nasce da un’idea discutibile come quella di un teschio considerato bello.
