Indice dei contenuti
Il cibo italiano è il re indiscusso delle tavole mondiali, come confermato dal sondaggio di World Atlas. Ma quando siamo noi a viaggiare, le parti si invertono: assaggiare i piatti nei luoghi in cui sono nati è un’esperienza che cambia tutto. E se stai pensando che il Poke che ordini sotto casa sia uguale a quello che mangi alle Hawaii, ti sbagli di grosso. Parola di Sara Limentani, content creator italiana che ha documentato la sua esperienza in una delle mete più sognate (e costose) del pianeta.
Alle Hawaii, il Poke è una religione (e ha una vetrina come il gelato)
Poche ore dopo essere atterrata, Sara ha voluto andare dritta al sodo: provare il Poke nel luogo dove è nato. E ha scoperto che lì il concetto è completamente diverso. Altro che “componi la tua bowl”. Nei ristoranti locali, il pesce crudo viene esposto in grosse vasche refrigerate, tipo gelateria. Ogni varietà ha colore, consistenza e sapore distinti. Dimentica la monotonia.
Il tonno ahi – protagonista assoluto del Poke originale – viene proposto in versioni più o meno grasse, più o meno rosse. C’è anche il polpo, spesso marinato in modo intenso. Il salmone? Non sarebbe tipico, ma per venire incontro ai gusti globali, ormai è quasi onnipresente.
"Qui è tutta un'altra storia", dice Sara nel suo video. "Il pesce è freschissimo, si scioglie in bocca. La qualità è pazzesca, ma preparatevi a spendere: sotto i 18 dollari non lo trovi".
Dalle origini ai giorni nostri: il Poke come piatto dei pescatori
Il Poke hawaiano nasce come un piatto umile, frutto del bisogno di non sprecare il pesce avanzato. I pescatori lo tagliavano a cubetti – in lingua locale poke significa proprio questo – e lo marinavano con pochi ingredienti: sale hawaiano, salsa di soia, olio di sesamo, alghe e cipollotto.
Niente fronzoli, solo semplicità e sapore. Una filosofia che resiste ancora oggi nei locali più autentici delle isole, dove la marinatura viene fatta in anticipo e non al momento della preparazione. Un dettaglio che cambia tutto.
In Italia: più una fashion bowl che un piatto etnico
Nel Bel Paese, il Poke ha fatto il suo ingresso trionfale da circa cinque anni, diventando presto un fenomeno da food delivery e pausa pranzo. Ma il risultato? Molto diverso. In Italia, la bowl si costruisce a piacimento, con un ventaglio di ingredienti che spesso non hanno nulla a che fare con la tradizione.
Dal mais al cavolo viola, passando per edamame, avocado, frutta secca italiana e salse complesse come maionese piccante o yogurt speziato, ogni bowl diventa un mosaico colorato. Buono? A volte sì. Ma fedele all’originale? Per niente.

La personalizzazione estrema è la regola: puoi scegliere tra riso sushi, quinoa, insalata o cous cous. E poi le proteine: pollo, tofu, gamberi, salmone affumicato, perfino tonno in scatola. Una libertà creativa che, se da un lato conquista i clienti, dall’altro allontana sempre più il piatto dalla sua anima hawaiana.
Tra le sorprese più inaspettate che Sara ha notato c’è la presenza costante del granchio. Alle Hawaii è una proteina molto usata nelle bowl, spesso cucinata al vapore o proposta in insalata con maionese. In Italia, invece, è un ingrediente praticamente assente. Troppo costoso? Troppo poco conosciuto? Forse entrambe le cose.
Poke vs Poke: la tabella delle differenze
| Elemento | Poke Hawaiano | Poke Italiano |
|---|---|---|
| Base | Pesce crudo, spesso senza riso | Riso o alternative (quinoa, insalata) |
| Marinatura | Essenziale, fatta in anticipo | Condita al momento, spesso con salse fusion |
| Ingredienti | Alghe, cipollotto, sale, sesamo | Avocado, mais, mango, cavolo viola |
| Proteine | Tonno ahi, polpo, pesce locale | Pollo, tofu, tonno in scatola, salmone affumicato |
| Condimenti | Semplici, locali | Maionese, teriyaki, yogurt, sriracha |
| Estetica | Rustico e tradizionale | Colorato e curato per Instagram |
