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Chi l'avrebbe mai detto? Quelle due paroline magiche che usiamo decine di volte al giorno – “sì” e “no” – non sono affatto universali. Lo svela @wordsatwork, tiktoker appassionato di lingue moderne e antiche, che su TikTok sta facendo impazzire i fan con una scoperta linguistica da urlo: alcune lingue del mondo non hanno parole per “sì” e “no”. E non si tratta di lingue inventate o poco parlate, ma di sistemi linguistici reali, con una storia profonda.
Sì e No: le parole che (non) esistono
“Yes or no?” Per molti sembrerebbe una domanda banale. E invece… in alcune lingue non esistono termini diretti per confermare o negare. Il mondo celtico, ad esempio, ha un approccio del tutto diverso: si preferisce ripetere il verbo usato nella domanda, piuttosto che rispondere con una parola secca. Curioso? Molto. Pratico? Anche di più. Ha senso? Sì... Nel gaelico irlandese, ad esempio, alla domanda “Hai capito?” (An dtuigeann tú?), si risponde semplicemente con “Tuigim” (“Capisco”) oppure “Ní thuigim” (“Non capisco”).

Il gaelico irlandese non è solo nella sua scelta. Anche il gaelico scozzese e il mannese (lingua celtica parlata sull’Isola di Man) adottano lo stesso sistema. La strategia è chiara: zero monosillabi, sì alla chiarezza. Perfino i nostri antenati latini erano sulla stessa lunghezza d’onda. Niente “sì”, niente “no” nel latino classico. Si usavano espressioni come ita vero (“così è vero”) o minime (“per niente”). In pratica, ogni risposta richiedeva una costruzione precisa, meno ambigua delle nostre risposte secche.
Il paradosso delle domande negative
Chi non ha mai risposto “sì” alla domanda “Non vieni?” e si è trovato a dover spiegare cosa intendesse davvero? Le lingue che evitano “sì” e “no” risolvono questo rompicapo alla radice. Rispondere “Capisco” o “Non capisco” a “Hai capito?” non lascia spazio a interpretazioni sbagliate. Non è un dettaglio da poco. In italiano o in inglese, una risposta secca può generare fraintendimenti. In tedesco, per esempio, esiste la parola “doch” proprio per rispondere affermativamente a una domanda negativa. Un piccolo trucco per evitare confusione totale.
Giappone, Italia e altre stranezze linguistiche
Il giapponese ha parole per “sì” (はい hai, ええ ee) e “no” (いいえ iie), ma la cultura impone una certa delicatezza. Niente risposte troppo nette. Si preferisce girarci intorno, usare frasi come “soudesune” (“già, è così”) per restare nel vago e non offendere l’interlocutore. Una vera arte dell’equilibrio verbale.
In italiano, invece, la creatività spopola. “Sì” e “no” regnano sovrani, ma vengono declinati in mille sfumature: “Certo!”, “Macché!”, “Neanche per sogno!”, “Sicuro!”, “Altroché!”. E poi ci sono le espressioni idiomatiche: “E no!”, “Come no!”, “Perché no?”, “Se no poi…”. Il nostro “no” è così versatile da diventare un avverbio olofrastico, capace di reggere da solo una frase intera.
Domande polari: quando il mondo si divide in due
Nel gergo dei linguisti, le domande che prevedono come risposta “sì” o “no” si chiamano “domande polari”. In italiano, le risposte sono spesso profrasi (“sì”, “no”), ma anche un semplice cenno, un’occhiata o una smorfia possono dire tutto. Un altro esempio di quanto il linguaggio umano sia elastico, complesso, ma anche straordinariamente ingegnoso.
In fondo, che si dica “sì”, “no”, “capisco”, “non capisco” o si alzi solo un sopracciglio, resta una verità semplice e potente: le lingue sono uno specchio della nostra cultura. E se alcune hanno scelto di non affidarsi a due parole per dire tutto, forse non è una mancanza. Forse è solo un altro modo, più raffinato, per essere chiari.
