Quante volte abbiamo sentito espressioni come "ha il sangue blu", riferite a principi, regine, duchi o contesse? È una frase che evoca subito nobiltà, eleganza e lignaggio. Ma dietro questo modo di dire si nasconde una spiegazione più curiosa di quanto sembri. E no, non ha niente a che vedere con mutazioni genetiche o misteriosi lignaggi alieni. Il sangue resta rosso per tutti, nobili compresi. Ma allora da dove nasce questa leggenda del sangue blu nelle famiglie reali? A fare chiarezza è l’esperta Sara Di Loreto, che in un reel pubblicato in collaborazione con la pagina meravigli_srl ha proposto un’ipotesi affascinante quanto sorprendente.
L’ipotesi dell’argento nelle tavole aristocratiche
Sara Di Loreto parte da un dettaglio apparentemente marginale, ma molto significativo: nelle case nobiliari e nelle corti reali, le stoviglie non erano come quelle comuni. Piatti, posate, coppe e vassoi erano quasi sempre in argento massiccio. Un elemento che non serviva solo per ostentare ricchezza.
L’argento, spiega l’esperta, è un potente antibatterico naturale e un eccellente conduttore termico. Ma soprattutto, in piccolissime quantità, può essere ingerito attraverso il cibo a contatto con superfici argentate. Secondo Di Loreto, questa esposizione costante avrebbe influenzato alcune caratteristiche fisiche dei nobili, inclusa la colorazione leggermente più bluastra del sangue.

Una teoria affascinante, anche se non universalmente condivisa nel mondo medico. Resta il fatto che l’argento è stato da sempre associato a concetti di purezza, potere e distinzione — simboli perfettamente coerenti con l’immagine costruita attorno alla nobiltà.
La spiegazione storica e dermatologica: questione di pelle (chiara)
Ma c’è un’altra teoria, più semplice e supportata da fonti storiche e dermatologiche. Nei commenti al video pubblicato da Di Loreto, un utente ha riportato una spiegazione molto convincente che trova riscontro anche in testi accademici di antropologia storica e medicina medievale.
I nobili, diversamente dal popolo, vivevano lontano dai campi e dalle attività all’aria aperta. Il culto della pelle chiara era radicatissimo. Come lo è ancora oggi in alcune zone della Cina. L’abbronzatura veniva associata a chi lavorava nei campi e veniva percepita come un segno di bassa estrazione sociale.
Per questo motivo, uomini e donne di sangue reale si proteggevano ossessivamente dal sole. Il risultato? Una carnagione diafana che rendeva estremamente visibili le vene bluastre sotto la pelle, in particolare su mani, polsi e tempie. E da lì, l’espressione: "hanno il sangue blu".
Nei secoli, il colore delle vene divenne un simbolo di appartenenza alla classe aristocratica. La pelle traslucida era sinonimo di raffinatezza, mentre la possibilità di vedere le vene evidenziava indirettamente l’assenza di lavoro manuale. Il concetto si radicò al punto che in molte corti europee, dal XV al XIX secolo, venivano persino usati cosmetici schiarenti a base di piombo o arsenico (oggi vietatissimi) per aumentare l'effetto "pelle di porcellana".
In Spagna, dove l’aristocrazia rivendicava la "limpieza de sangre" (purezza del sangue) rispetto alle popolazioni moresche ed ebraiche, l’espressione "sangre azul" si diffuse come simbolo di identità nobiliare intorno al XVII secolo. Da lì, l’uso si è diffuso nel resto d’Europa, Italia compresa.
Oggi sappiamo bene che il sangue è rosso per tutti, indipendentemente dal ceto sociale o dall’argenteria utilizzata. Tuttavia, l’espressione "avere il sangue blu" sopravvive come metafora potente. Racconta un pezzo di storia, tra biologia, cultura e apparenza. E continua a evocare — anche nel 2025 — l’idea di un mondo fatto di corone, castelli e genealogie infinite.
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