"Se vuoi ricominciare la tua vita da capo, evita il Regno Unito", italiano espatriato spiega perché

Negli ultimi mesi, si è riacceso un fenomeno che sembrava essersi sopito durante il biennio segnato dal Covid: la fuga degli italiani all’estero. Giovani professionisti, neolaureati e perfino quarantenni in crisi di carriera guardano fuori dai confini con un obiettivo chiaro: stipendi più alti, qualità della vita migliore e opportunità concrete.

Ma se c’è una destinazione che oggi sconsigliano in molti, è proprio il Regno Unito. Un tempo - in particolare tra gli anni '80 e i primi Duemila - considerato terra promessa per chi voleva reinventarsi, l’UK sembra aver perso il suo fascino. E a dirlo non è un politico o un esperto di geopolitica, ma Pietro Gallogalinta, un italiano che da tre anni vive e lavora in Inghilterra.

Brexit ha cambiato tutto: fine del sogno inglese per molti italiani

Fino a pochi anni fa, trasferirsi a Londra o a Manchester sembrava una mossa vincente per chi voleva lasciarsi alle spalle un lavoro sottopagato in Italia. Era sufficiente prendere un volo low cost, stampare qualche curriculum e girare tra i locali del centro con la speranza di trovare un impiego nel giro di pochi giorni. Magari iniziare con un lavoro 'umile', inserirsi, stabilirsi e poi puntare più in alto. Questo, oggi, è semplicemente impossibile.

Secondo Gallogalinta, le nuove regole introdotte dopo la Brexit stanno “tagliando le gambe” a chiunque non abbia già una carriera avviata o competenze ben precise. Il sistema VISA non è più una formalità: per lavorare in UK, bisogna avere un’offerta di lavoro già in mano da parte di un’azienda inglese. E non una qualsiasi: deve essere un’offerta formalmente valida, documentata, con uno sponsor abilitato.

Il tiktoker italiano che vive in Inghilterra ha sconsigliato di venire qui se si ha in testa di "ricominciare da capo".
Il tiktoker italiano che vive in Inghilterra ha sconsigliato di venire qui se si ha in testa di "ricominciare da capo".

«Quindici anni fa il Regno Unito era il luogo perfetto per chi voleva ricominciare. Oggi è l’opposto. Il sistema seleziona e premia solo chi è già arrivato. Il resto, viene escluso a monte», racconta Pietro con tono amaro.

Il nuovo Regno Unito: regole rigide e clima sociale sempre più freddo

Non si tratta solo di burocrazia. Secondo Gallogalinta, oggi il Regno Unito ha adottato un approccio più classista e chiuso. Il mito dell’Inghilterra inclusiva e meritocratica vacilla sotto il peso di nuove normative, che rendono difficile perfino il primo passo.

«Dimenticatevi l’idea di entrare in decine di locali e dare il CV a mano. Questo mondo non esiste più. Serve un contratto prima di arrivare, serve un profilo altamente qualificato. E chi vuole semplicemente cambiare vita, magari ripartendo da un lavoro base, qui trova solo ostacoli».

A peggiorare la situazione, c’è l’ipotesi – sempre più concreta – che il governo britannico aumenti il periodo minimo di residenza per ottenere la cittadinanza: da cinque a dieci anni. «Significa lavorare dieci anni, magari facendo un lavoro che odi, solo per avere diritto alla cittadinanza. Ne vale la pena?», chiede retoricamente l’espatriato.

Un consiglio chiaro: scegliete un altro Paese per reinventarvi

Il messaggio di Pietro è diretto: evitate il Regno Unito se volete davvero ricominciare da capo.  Gallogalinta suggerisce altri Paesi europei, dove la burocrazia è meno opprimente e il mercato del lavoro è più accessibile anche per chi parte dal basso: Germania, Portogallo, Spagna, Irlanda. «Fate esperienza internazionale altrove, costruitevi un curriculum forte, poi – se proprio ci tenete – provate con il Regno Unito. Ma non usatelo come punto di partenza».

Le parole di Gallogalinta arrivano come uno schiaffo a certe narrazioni patinate che ancora girano online. Siti ufficiali, campagne di promozione e blog turistici dipingono un’Inghilterra aperta, dinamica, accogliente. Ma chi ci vive – e soprattutto chi ci è arrivato con aspettative da ricomincio da zero – racconta un’altra verità: quella fatta di documenti difficili da ottenere, aziende esigenti, costi altissimi e un sistema che, a quanto pare, scoraggia l’adattamento.

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