Indice dei contenuti
L’aragosta, oggi simbolo di lusso e prelibatezza, ha una storia gastronomica molto particolare. In pochi sanno che un tempo, soprattutto negli attuali Stati Uniti, questo crostaceo non era considerato altro che cibo per i poveri, i carcerati e i servi. Alcuni le davano perfino ai maiali. Un cambio di status che ha radici profonde e che merita di essere raccontato.
Quando l’aragosta era abbondante e alla portata di tutti
Nel XVII e XVIII secolo, le coste del Nord America erano letteralmente invase dalle aragoste. I coloni europei, appena arrivati, si trovavano di fronte a mucchi di aragoste alti anche 30-40 centimetri, lasciati dalla marea. L’abbondanza era tale che non solo gli abitanti locali, ma anche i prigionieri e i poveri potevano raccoglierle senza fatica e cibarsene. In un’epoca in cui il cibo era spesso scarso, l’aragosta rappresentava una risorsa facilmente accessibile per le fasce più disagiate della società.
Il cibo dei carcerati e dei servi a contratto
In particolare nel New England coloniale, l’aragosta divenne il piatto base per chi viveva ai margini della società. Detenuti, servi e poveri venivano nutriti quasi esclusivamente con questo crostaceo, tanto che l’aragosta veniva considerata una vera e propria “punizione alimentare”. In Massachusetts, le proteste dei prigionieri per il trattamento riservato loro furono così forti che nel 1772 fu promulgata una legge che limitava il consumo di aragosta a non più di tre volte a settimana. Un atto simbolico che cercava di preservare la dignità dei detenuti, evitando che venissero alimentati con quella che veniva vista come una "carne di scarto".

All'epoca, la carne dell'aragosta era considerata dura e poco saporita, tanto da essere usata come fertilizzante nei campi di mais o come esca per la pesca. In breve, l'aragosta divenne il cibo dei più emarginati, un simbolo della condizione servile e una pietanza che non aveva certo il fascino che oggi le riconosciamo.
La trasformazione: da scarto a prelibatezza
Il vero cambiamento nell’immagine dell’aragosta arrivò però solo nel XIX secolo, grazie a due fattori chiave che ne modificarono completamente il destino.
Il primo fu l'invenzione della conservazione in scatola (canning), che permise di inviare aragoste anche verso gli stati più interni degli Stati Uniti, raggiungendo dunque mercati lontani. Questo sviluppo aprì nuove strade al commercio e creò una domanda che prima non esisteva. La possibilità di conservare il crostaceo in scatola lo rese accessibile anche lontano dalle coste, portando un cambiamento radicale nella percezione del prodotto.
Il secondo fattore fu lo sviluppo delle ferrovie, che accelerarono la distribuzione del prodotto e contribuirono a un aumento della domanda nelle grandi città come New York e Boston. Qui, l’aragosta, che era ormai lontana dai pregiudizi legati al suo passato, veniva proposta come una pietanza raffinata nei ristoranti più esclusivi. Con il passare del tempo, la crescente scarsità di aragoste selvatiche, dovuta alla pesca intensiva, fece salire i prezzi, trasformando quello che era stato un cibo per poveri in una prelibatezza da intenditori.
Aragosta come simbolo di lusso contemporaneo
Oggi l’aragosta è diventata uno degli alimenti più iconici del lusso gastronomico. Un piatto che si trova nei menu dei ristoranti più esclusivi e che accompagna celebrazioni e occasioni speciali. Da cibo umile e simbolo di miseria - qualcuno la definiva perfino "gli scarafaggi di mare" - l’aragosta ha vissuto una delle trasformazioni più sorprendenti della storia culinaria.
Questo cambiamento dimostra come, nel corso dei secoli, non siano tanto le caratteristiche intrinseche degli alimenti a definirne il valore, ma le condizioni storiche ed economiche che ne influenzano la disponibilità e la percezione sociale. Quello che una volta veniva considerato un "scarafaggio di mare", oggi è uno status symbol che racconta una storia di evoluzione sociale e culturale.
