Pranza nel ristorante più famoso di tutto l'Egitto: "Servono una sola cosa"

Nel cuore pulsante del Cairo, tra traffico caotico e profumi speziati, si trova un luogo che ha fatto la storia della cucina egiziana: Abou Tarek. Non è un ristorante come gli altri, perché qui da decenni si serve una sola pietanza, un piatto semplice e popolare (per quanto piuttosto recente) che è diventato simbolo nazionale: il Koshari. La content creator Chloe Jade lo ha visitato pochi giorni fa, raccontando un’esperienza unica che ha già fatto il giro dei social e dei blog di viaggio.

La storia di Abou Tarek, da un carretto a un’icona mondiale

La leggenda di questo ristorante inizia nel 1950, quando il giovane proprietario spingeva un carretto di koshari per le strade del Cairo. Con il tempo, quel piccolo banco ambulante è diventato un punto di riferimento per lavoratori e studenti, fino a trasformarsi nell’attuale locale di più piani che attira clienti da ogni parte del mondo. Ancora oggi, all’estero, si conserva quel primo carretto come ricordo tangibile delle origini modeste. All’ingresso del ristorante una scritta in arabo e inglese avverte i clienti: “Non abbiamo succursali”, segno di un’identità che rifiuta imitazioni.

Koshari: il piatto unico e vegano che conquista tutti

Il Koshari è il piatto nazionale egiziano. A prima vista può sembrare caotico, quasi disordinato, ma nasconde un equilibrio perfetto di sapori e consistenze. È composto da pasta corta, spaghetti spezzati, riso, lenticchie, ceci e croccanti cipolle fritte. Il tutto viene accompagnato da salsa di pomodoro intensa, condimenti a base di aglio e una salsa piccante per chi ama osare di più. Ogni tavolo dispone di contenitori condivisi con pepe, sale e peperoncino, così ogni cliente può personalizzare la propria porzione.

L'aspetto del Koshari non è super invitante, ma è un piatto vegano, saporito e abbondante.
L'aspetto del Koshari non è super invitante, ma è un piatto vegano, saporito e abbondante.

Chloe Jade racconta: “Un dipendente ci ha mostrato come mescolare il piatto. Lui ha preferito poca salsa di pomodoro e niente piccante, io invece ho aggiunto un bel po' di piccante. L’aspetto può ingannare, ma il sapore è sorprendente”. In effetti, questo piatto non punta all’estetica raffinata, ma al gusto e alla sazietà: porzioni abbondanti che spesso bastano per due persone.

Un’esperienza autentica e alla portata di tutti

Una delle caratteristiche che ha reso celebre Abou Tarek è la politica dei prezzi stabili. Nonostante la popolarità crescente e il flusso costante di turisti, il costo del Koshari resta accessibile. Chloe Jade, insieme ad altre tre persone, ha speso in totale 250 sterline egiziane, poco più di 1€ a testa. Una cifra simbolica per una pietanza che riempie e che spesso avanza da portare a casa. In un’epoca in cui la ristorazione internazionale tende a rincorrere mode costose, Abou Tarek rimane fedele a una filosofia semplice: nutrire bene, a un prezzo giusto.

Chi visita questo locale non cerca lusso o varietà di menù, ma un pezzo autentico di cultura egiziana. Ogni porzione racconta una storia di resistenza, tradizione e comunità. Per questo motivo, il ristorante è diventato una tappa imperdibile non solo per chi viaggia in Egitto, ma anche per chi vuole comprendere l’anima di un popolo attraverso la sua cucina.

Tra storia coloniale e contaminazioni culturali

Il Koshari ha origini sorprendenti. Deriva infatti dal termine hindi “khichri”, che indicava un piatto a base di riso e lenticchie. Durante il periodo coloniale britannico in India, la ricetta viaggiò fino al Mediterraneo e trovò in Egitto la sua casa definitiva. Gli egiziani la arricchirono con pasta e cipolle croccanti, trasformandola in un simbolo nazionale. Oggi il Koshari è un piatto vegano amato da milioni di persone, servito soprattutto in questo angolo di Downtown Cairo, all’incrocio tra via Maarouf e via Champollion.

Abou Tarek non è soltanto un ristorante, ma un patrimonio vivente della cultura gastronomica egiziana. Chiunque lo visiti porta a casa non solo il ricordo di un pasto gustoso, ma anche la consapevolezza di aver partecipato a una tradizione che ha saputo attraversare decenni senza mai snaturarsi.

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