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L'Italia registra percentuali di raccolta differenziata tra le migliori d’Europa, ma con forti differenze territoriali. Secondo gli ultimi dati ISPRA relativi al 2023, la raccolta differenziata nazionale ha raggiunto il 66,6%, con il Nord sopra il 70% e il Sud sotto il 60%: spiccano Veneto (77,7%), Emilia-Romagna (77,1%) e Sardegna (76,3%), mentre Liguria si ferma poco sotto il 60% e Sicilia resta in coda (poco sotto il 50%). Cresce però l’attenzione quotidiana: sempre più famiglie riducono la plastica monouso, scelgono riuso e second hand per abbigliamento, arredi ed elettronica.
Eppure, ciclicamente, i telegiornali mostrano cassonetti pieni nelle grandi città, soprattutto durante i periodi festivi. A qualcuno torna l’idea “geniale”: perché non gettare la spazzatura nei vulcani? Lava rovente, rifiuti polverizzati in pochi secondi… Sembra pratico, vero? In realtà, è una pessima strada: inefficace, pericolosa e inquinante.
Esplosioni e instabilità: la lava non è un trituratore
Quando una massa relativamente fredda entra in contatto con la lava, l’acqua contenuta nei rifiuti vaporizza bruscamente, il gas si espande e possono verificarsi esplosioni e zampilli di magma. I vulcanologi hanno documentato che anche piccoli crolli di roccia o contatti con acqua generano getti e sbuffi violenti nei crateri attivi: un rischio ben noto alle osservazioni sul Kīlauea e ad altri vulcani basaltici. In altre parole, portare camion di rifiuti vicino a un cratere attivo significherebbe esporre operatori e mezzi a scenari accidentali che scattano in pochi istanti e senza preavviso.

Temperature e combustione: gli inceneritori vincono (perché controllano il processo)
Le temperature della lava variano, ma raramente superano i 1.100–1.200 °C e spesso risultano più basse, a seconda del magma e del punto di osservazione. Gli inceneritori invece lavorano in condizioni controllate: per legge nell’Unione europea i fumi devono rimanere ad almeno 850 °C per 2 secondi (e 1.100 °C in presenza di rifiuti con alte frazioni alogenate), con sistemi di abbattimento e monitoraggio delle emissioni.
Nella lava mancano camera di combustione, tempi di residenza, ossigenazione e filtri: il risultato sarebbe spesso una combustione parziale e fumi carichi di inquinanti (metalli pesanti da e-waste, composti clorurati, microinquinanti organici). La letteratura su open burning mostra emissioni significative di diossine, furani e contaminanti con forti impatti sanitari se la combustione non è controllata.
Gas tossici e “vog”: cosa respireremmo davvero
I vulcani emettono naturalmente SO2, CO2 e altri gas. In condizioni favorevoli, queste emissioni generano la vog (volcanic smog), una foschia acida che irrita occhi e vie respiratorie e danneggia la vegetazione. Sull’isola di Hawaiʻi le autorità sanitarie hanno più volte diramato avvisi durante le eruzioni del Kīlauea; la rete clinico-scientifica IVHHN riassume bene i rischi per asmatici e categorie sensibili. Aggiungere a questa miscela i prodotti della combustione di plastiche ed e-waste (piombo, mercurio, diossine) amplificherebbe l’impatto sanitario. L’atmosfera diventerebbe malsana, con costi ambientali scaricati a valle.
Ostacoli pratici: pochi laghi di lava e vulcani italiani senza “imbuto”
Il piano logistica non regge. Servirebbero laghi di lava accessibili e persistenti: sulla Terra ne esistono pochissimi (una manciata su circa 1.500 vulcani), come documentato dai repertori scientifici e da studi dedicati. In Italia, l’attività di Etna e Stromboli è ben monitorata dall’INGV e non offre “vasche” stabili dove gettare rifiuti; al contrario, prevalgono condotti e bocche eruttive che cambiano in fretta, con fasi esplosive e ricadute di materiale piroclastico. Anche da spenti, i pendii restano instabili; da attivi, non consentono di operare in sicurezza.
Cosa funziona davvero: riduzione, riciclo e impianti a norma
L’esperienza italiana mostra che raccolta differenziata spinta, riuso e impianti ben gestiti riducono il rifiuto residuo. Dove le amministrazioni hanno puntato su filiere di carta, vetro, organico e plastiche, i risultati arrivano e restano sopra il 65% (target UE già centrato in molte regioni del Nord e in Sardegna). Quando una quota di rifiuto non è riciclabile, gli impianti di termovalorizzazione autorizzati garantiscono parametri termici, tracciabilità e filtrazione dei fumi previsti dalla normativa europea, evitando le “combustioni improvvisate” che un vulcano genererebbe. Intanto i cittadini contengono gli imballaggi, scelgono capi che durano, preferiscono il second hand: ogni acquisto evitato oggi sarà un cassonetto vuoto domani.
La suggestione di usare i vulcani come “smaltitori naturali” è riemersa più volte e, ogni volta, la scienza l’ha smontata: tra rischi esplosivi, gas tossici, assenza di controlli e impossibilità logistica, buttare l’immondizia nel magma peggiorerebbe i problemi invece di risolverli. La vera notizia resta un’altra: più prevenzione, più differenziata, più impianti a norma. È così che molte aree italiane hanno già fatto meglio, e continueranno a farlo
