Cosa succede se ti arrestano in Giappone? 9 processi su 10 finiscono con una condanna: ecco perché

Venire arrestati all'estero è un'esperienza che chiunque evita come la peste, che si tratti della Spagna, del Brasile, dell'Australia, del Marocco o della Cina. Il sistema giudiziario giapponese, tuttavia, è considerato uno dei più rigidi e implacabili al mondo. Dietro la sua immagine di efficienza e ordine si nasconde un meccanismo giudiziario con un tasso di condanna altissimo: oltre il 99%. In Giappone, finire sotto processo significa quasi certamente essere riconosciuti colpevoli. Ma perché accade questo? E cosa succede realmente quando una persona viene arrestata?

Il sistema giudiziario giapponese: rigore e controllo

Il Giappone si fonda su un sistema giudiziario articolato in vari livelli, con la Corte Suprema al vertice. La Costituzione del Paese garantisce formalmente l’indipendenza dei giudici, ma nella pratica il potere dei pubblici ministeri è molto più incisivo di quanto accada in altre democrazie. L’intero processo penale è fortemente orientato alla ricerca della confessione del sospettato, un elemento che assume spesso più valore delle prove materiali.

Le organizzazioni internazionali per i diritti umani, come Amnesty International e Human Rights Watch, hanno più volte denunciato le pratiche di interrogatorio prolungato e la mancanza di adeguate tutele per la difesa. Non è raro che un sospettato venga interrogato per ore senza la presenza di un avvocato, in condizioni psicologicamente e fisicamente estenuanti.

Un tasso di condanna record: oltre il 99%

La famosa statistica secondo cui “nove processi su dieci finiscono con una condanna” è addirittura riduttiva. Secondo gli ultimi dati del Ministero della Giustizia giapponese, il tasso reale supera il 99,8%. È un valore che non ha eguali nei Paesi avanzati, e che non deriva semplicemente dall’efficienza investigativa, ma da un sistema costruito per minimizzare il margine d’errore dei pubblici ministeri.

In Giappone, un processo arriva in tribunale solo quando la probabilità di condanna è considerata praticamente certa. Se le prove non bastano, il pubblico ministero può decidere di archiviare il caso. Questo approccio selettivo fa sì che le assoluzioni siano eccezioni rarissime. Di fatto, il sistema scoraggia la contestazione dell’accusa e spinge gli imputati a collaborare fin dalle prime fasi dell’indagine.

Il potere dei pubblici ministeri: 23 giorni per ottenere una confessione

Un aspetto chiave del sistema giapponese è la detenzione preventiva. Dopo un arresto, un sospettato può essere trattenuto fino a 23 giorni senza che venga avviato un processo. Durante questo periodo, gli interrogatori possono essere quotidiani, e il contatto con la famiglia o con un avvocato può essere limitato. Questa pratica, nota come daiyo kangoku (detenzione sostitutiva), è molto controversa e viene spesso criticata per la sua capacità di “indurre” confessioni.

Il Giappone ha un sistema giudiziario molto rigido
Il Giappone ha un sistema giudiziario molto rigido

I pubblici ministeri hanno inoltre un controllo quasi totale sull’azione penale. Decidono se un caso debba arrivare in tribunale e in che modo impostare le accuse. Nonostante l’indipendenza formale dei giudici, la cultura giuridica giapponese tende a considerare l’operato della procura come un punto di riferimento. È un equilibrio che, di fatto, sposta il baricentro del processo verso l’accusa.

Italia e Giappone a confronto: due visioni opposte della giustizia

In Italia, il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale ogni volta che viene a conoscenza di un reato, indipendentemente dalle probabilità di condanna. In Giappone, invece, prevale la discrezionalità: i PM decidono se e quando procedere. Anche la durata della custodia cautelare è molto diversa: in Italia, i termini sono più brevi e soggetti a controlli più stringenti da parte del giudice.

Questa differenza riflette due visioni culturali opposte. In Giappone, la giustizia è percepita come un dovere collettivo e un mezzo per preservare l’armonia sociale, mentre in Italia prevale la tutela individuale e il diritto alla difesa. Ne risulta un sistema giapponese più severo e punitivo, ma anche meno trasparente, dove le garanzie del cittadino passano in secondo piano rispetto alla stabilità del sistema.

La “giustizia del pubblico ministero” e il dibattito internazionale

Da anni la comunità internazionale chiede al Giappone di rivedere il proprio sistema penale, soprattutto in relazione alla presunzione d’innocenza e alla libertà di difesa. Le confessioni estorte, le pressioni psicologiche e l’enorme peso dato all’accusa sono elementi che suscitano preoccupazione. Tuttavia, molti cittadini giapponesi continuano a percepire il sistema come un simbolo di sicurezza e ordine.

Essere arrestati in Giappone, quindi, non significa automaticamente essere colpevoli, ma significa entrare in un percorso in cui le possibilità di assoluzione sono minime. Un sistema efficiente per alcuni, ma per altri ancora troppo distante dagli standard di giustizia equa e moderna.

Lascia un commento