Hai pochi ricordi della tua infanzia? Psicologo spiega il motivo

Ricordi d’infanzia sbiaditi o quasi assenti sono più comuni di quanto pensi. Lo ha ricordato anche lo psicologo e content creator Michele Mezzanotte in un video virale su TikTok, dove elenca tre possibili spiegazioni: sviluppo cerebrale rapidissimo, “rimozione” di ricordi spiacevoli e stress prolungato. In questo articolo mettiamo in fila queste idee con ciò che la ricerca scientifica ci dice oggi su amnesia infantile, neurogenesi, linguaggio e cortisolo, per capire perché molti adulti ricordano poco i primi anni di vita.

Amnesia infantile: che cos’è davvero e quando inizia

Gli psicologi chiamano amnesia infantile l’incapacità degli adulti di recuperare ricordi episodici dei primissimi anni, tipicamente prima dei 2–4 anni. Non significa che i bambini “non memorizzano”; significa che quei ricordi diventano difficili da recuperare a distanza di tempo. Oggi il consenso attribuisce un ruolo centrale alla maturazione dell’ippocampo (la struttura chiave per la memoria autobiografica) e dei circuiti collegati: durante l’infanzia questi sistemi cambiano velocemente, e la maniera in cui codifichiamo e richiamiamo gli eventi evolve insieme al cervello.

Neurogenesi e linguaggio: perché il “cervello che cresce” tende a riscrivere

Il primo punto citato da Mezzanotte tocca un nodo reale: nei primi anni il cervello rinnova connessioni a ritmo serrato. La neurogenesi nell’ippocampo introduce neuroni nuovi in reti in continua riorganizzazione. Diversi gruppi hanno proposto che questo ricambio, utilissimo per apprendere, possa anche destabilizzare tracce mnestiche più antiche, favorendo l’oblio a lungo termine: è una delle ipotesi più discusse per spiegare l’amnesia infantile

Michele Mezzanotte ha precisato che ci sono vari motivi per cui abbiamo pochi(ssimi) ricordi dell'infanzia.
Michele Mezzanotte ha precisato che ci sono vari motivi per cui abbiamo pochi(ssimi) ricordi dell'infanzia.

Accanto alla biologia, pesa lo sviluppo del linguaggio e della capacità narrativa. Ricordiamo meglio ciò che sappiamo raccontare: quando il bambino impara parole, categorie, tempi verbali e “trame” condivise con i caregiver, i ricordi episodici diventano più organizzati e durevoli. La letteratura sullo sviluppo della memoria autobiografica mostra che qualità del linguaggio e conversazioni familiari su “cosa è successo” migliorano la rievocazione negli anni successivi.

“Rimozione” psicoanalitica: quanto conta davvero

Il secondo punto, la rimozione di ricordi spiacevoli, ha radici storiche nella tradizione psicoanalitica: già Freud usava il termine amnesia infantile collegandolo alla difficoltà di richiamare i primi anni e ipotizzando meccanismi difensivi. Oggi gli studiosi considerano questa spiegazione non sufficiente da sola e spesso non verificabile in modo sperimentale; la ricerca moderna guarda piuttosto a fattori neurocognitivi e culturali (sviluppo cerebrale, linguaggio, pratiche di narrazione in famiglia) per spiegare la scarsità di ricordi stabili dei primi anni.

Stress, cortisolo e dissociazione: quando l’allarme resta alto

Il terzo elemento riguarda lo stress. Il cortisolo, l’ormone che ci aiuta a fronteggiare le minacce, modula l’ippocampo e l’amigdala. Un picco acuto può anche potenziare la memoria di eventi emotivi; uno stress cronico, invece, altera dendriti e sinapsi in aree cruciali per memoria e regolazione emotiva, con effetti su codifica, consolidamento e recupero. In alcuni contesti traumatici entra in gioco la dissociazione: la mente “si stacca” dall’esperienza e il ricordo esplicito risulta frammentato o inaccessibile.

Tradotto: vivere a lungo “in allarme” può lasciare memorie troppo vivide di alcuni dettagli e, allo stesso tempo, buchi in altre parti della storia vissuta. Questo non è un interruttore acceso/spento; è un continuum che dipende da predisposizioni individuali, età, intensità e durata dello stress.

Quando preoccuparsi e cosa puoi fare (senza allarmismi)

  • Avere pochi ricordi d’infanzia è comune. La maggior parte degli adulti colloca il primo ricordo intorno ai 3–4 anni e conserva più materiale da 7 anni in poi.
  • Nota i segnali di sofferenza. Se i “vuoti” si accompagnano a incubi, ansia marcata, flashback o difficoltà quotidiane, parla con uno psicologo o uno psicoterapeuta.
  • Allena la memoria autobiografica. Raccogli foto, disegni, diari di famiglia; chiedi ai parenti di raccontare episodi con date, luoghi, persone. Le narrazioni ricche e ripetute aiutano a stabilizzare i ricordi per il futuro.
  • Regola lo stress. Sonno regolare, attività fisica e tecniche di respirazione favoriscono circuiti più “stabili” per l’apprendimento. Se lo stress resta alto, valuta un supporto professionale.

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