Quando pensiamo alla pizza napoletana, ci immaginiamo un disco di pasta soffice e fragrante, condito con pomodoro, mozzarella filante e basilico fresco. Eppure, alla fine dell’Ottocento e all’inizio del Novecento, la pizza era molto diversa da quella che oggi troviamo in pizzeria. Lo storico dell’alimentazione Alberto Grandi ha svelato dettagli sorprendenti su questa evoluzione nel podcast DOI - Denominazione di Origine Inventata.
Com’era la pizza a Napoli tra Ottocento e Novecento
La pizza di fine Ottocento non aveva nulla a che vedere con quella attuale. Secondo Grandi, era una pasta spesso mal cotta, condita con ingredienti semplicissimi e ben lontani dall’attuale ricetta. “Si trattava di una schiacciata con sopra dell’aglio o del grasso di maiale, mentre il pomodoro non era in salsa, ma a pezzi”, ha spiegato lo storico. Anche Carlo Collodi, l’autore di Pinocchio, ne parlò in termini poco lusinghieri. Nel suo racconto descrisse la pizza come una stiaccia bruciacchiata e sudicia, com’è sudicio colui che te la vende. Una definizione che oggi farebbe rabbrividire gli amanti della pizza napoletana.

Anche la giornalista e scrittrice Matilde Serao raccontò la pizza dell’epoca in Il ventre di Napoli, pubblicato nel 1884. La descrisse come un cibo povero, venduto per strada su banchetti ambulanti, lasciato esposto tutto il giorno al freddo o al sole, ingiallito e spesso preda delle mosche. Era considerata più un simbolo del degrado della città che un piatto da esaltare. La sua cottura era approssimativa e, a volte, la pasta risultava più bruciata che cotta.
Il ruolo degli Stati Uniti nella trasformazione della pizza
La svolta arrivò grazie agli emigrati napoletani che, a inizio Novecento, portarono la pizza negli Stati Uniti. Tra il 1900 e il 1915, oltre 800.000 italiani vivevano a New York, trasformandola nella città con la più alta concentrazione di italiani nel mondo. Qui la pizza si evolse: la cottura migliorò, la pasta divenne più uniforme e si iniziarono a usare ingredienti come la salsa di pomodoro e il formaggio. Nacquero le prime pizzerie vere e proprie, che inizialmente erano frequentate solo dagli italiani, ma che presto conquistarono anche gli americani.
Dopo la Prima Guerra Mondiale, la pizza americana era ormai un fenomeno affermato. Negli Stati Uniti divenne un piatto servito nei ristoranti, trasformandosi da semplice cibo di strada a una preparazione più raffinata. Negli anni Trenta, la sua popolarità crebbe al punto che molti americani erano convinti che la pizza fosse una creazione statunitense. Durante la Seconda Guerra Mondiale, i soldati americani sbarcati in Sicilia scoprirono con stupore che in Italia le pizzerie erano quasi inesistenti, persino a Napoli.
Col tempo, la pizza migliorata negli Stati Uniti tornò in Italia e si diffuse in tutto il Paese. Solo a partire dal secondo dopoguerra divenne il simbolo gastronomico che oggi conosciamo. La pizza napoletana che oggi amiamo è frutto di una lunga evoluzione storica. Quella dell’Ottocento era molto diversa: povera negli ingredienti, spesso poco cotta e non sempre igienica. Fu grazie all’influenza americana e al miglioramento delle tecniche di cottura che si trasformò nel capolavoro gastronomico che oggi tutto il mondo ci invidia.
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