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Negli ultimi mesi alcuni video hanno raggiunto milioni di visualizzazioni sui social, anche quando i protagonisti non erano personaggi famosi. Un esempio chiaro è quello di un filmato che, tra settembre e ottobre, ha totalizzato oltre sei milioni di views. Il video, registrato in provincia di Napoli, mostrava i carabinieri che portavano via due persone accusate di truffe agli anziani. Osservando attentamente le immagini, molti utenti hanno notato un dettaglio: le manette erano coperte da panni scuri. Non pixellate, dunque, ma censurate con una pratica tutt'altro che digitale. Una curiosità che ha fatto discutere e che ha trovato risposta grazie al creator Lorenzo Muto, molto seguito per le sue spiegazioni semplici e dirette su temi di attualità e cultura generale.
Il valore della dignità e la presunzione di innocenza
In Italia, come in ogni Stato democratico, vige la presunzione di innocenza. Questo significa che ogni persona, fino a condanna definitiva (in Italia terzo grado di giudizio, dunque Cassazione), deve essere considerata innocente. Mostrare in televisione o sui giornali un uomo o una donna in manette equivale a trasmettere un messaggio di colpevolezza già stabilita. Non si tratta di un dettaglio estetico, ma di una questione che tocca diritti fondamentali. Le immagini delle manette hanno un impatto simbolico molto forte e, per questo motivo, vengono coperte. Così si riduce il rischio di un processo mediatico anticipato, capace di influenzare l’opinione pubblica e distruggere reputazioni in poche ore.

Le norme che regolano l’uso delle manette
Il Codice di Procedura Penale stabilisce che le manette possono essere utilizzate soltanto quando esiste un rischio concreto di fuga, di resistenza o di pericolo per la sicurezza degli agenti e delle persone coinvolte. Non si tratta dunque di un obbligo sistematico. Inoltre, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo sottolineano l’importanza del rispetto della persona anche nelle situazioni più delicate. Coprire le manette significa quindi muoversi nel solco di un principio giuridico e culturale: la tutela della dignità, anche in circostanze in cui la tensione è altissima.
I casi che hanno segnato la memoria collettiva
Uno degli episodi più noti resta quello di Enzo Tortora. Nel 1983 il presentatore venne arrestato e mostrato in televisione in manette, accusato di traffico di droga e legami con la camorra. Quelle immagini scossero il Paese e lo trasformarono subito, agli occhi di molti, in un colpevole. Anni dopo venne assolto, ma la sua vita e la sua carriera risultarono irrimediabilmente danneggiate. Non è un caso che, a distanza di decenni, venga ancora citato come l'errore più clamoroso (sicuramente perché mediatico) della legge italiana. Simili vicende hanno coinvolto altri professionisti, come Giovanni Cais ed Enzo Zo, imprenditori e figure pubbliche che subirono un danno mediatico enorme prima che la giustizia facesse chiarezza. La lezione appresa da quei casi ha inciso profondamente sul modo in cui oggi vengono gestite le immagini degli arresti.
Il ruolo dei media e la spettacolarizzazione
Per decenni i giornali e le televisioni hanno mostrato le immagini degli arresti come prova dell’efficienza dello Stato e delle forze dell’ordine. L’effetto collaterale, però, è stato la nascita di un vero e proprio processo mediatico parallelo, in cui la condanna arrivava prima ancora della sentenza. Con il tempo è emersa una sensibilità diversa: oggi si tende a limitare la spettacolarizzazione e a ridurre la diffusione di contenuti che possono trasformare una misura cautelare in una gogna pubblica. La responsabilità giornalistica, insieme a quella delle istituzioni, gioca un ruolo centrale nel rispetto dei diritti.
Una questione ancora aperta
Coprire le manette non elimina il rischio di giudizi sommari e non impedisce a un’immagine di diventare virale in pochi secondi. Tuttavia rappresenta un gesto importante, un segnale di attenzione verso la dignità della persona. La sfida rimane quella di bilanciare il diritto all’informazione con la presunzione di innocenza. In un’epoca dominata dai social, dove un video può circolare senza controllo e raggiungere milioni di visualizzazioni, il dibattito resta acceso. Gli arresti continueranno a far notizia, ma la protezione dei diritti fondamentali non può mai essere considerata un dettaglio secondario.
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